SOCIAL MEDIA : PICCOLA GRATIFICAZIONE O ENORME FRUSTRAZIONE?

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Per cominciare, tutti sappiamo cosa accade quando cerchiamo qualcosa sulla rete, ma per chi volesse ricordarlo e conoscerlo ancora meglio:

Proseguiamo con un video e con una lettura che invece illustrano le modificazioni che avvengono nel nostro cervello con l’uso prolungato dei social. E visto che chi più, chi meno ne è dipendente…

https://www.focus.it/comportamento/psicologia/uso-frequente-dei-social-altera-il-cervello-degli-adolescenti

Gratificazione o frustrazione quindi? A seconda di come si usano ovviamente. Se venissero usati per promuovere la propria attività (senza che diventi una dipendenza) o per comunicare con persone lontane, sarebbero incredibilmente utili, miracolosi direi. Ma la realtà è che anche come fine promozionale, la visibilità sui social diviene un fatto personale, di gratifica o frustrazione, con il tempo e con l’uso protratto, questo meccanismo tende a predominare divenendo un atteggiamento che non riconosciamo più. Così la richiesta veloce alle nostre aspettative, può, involontariamente, trasformarsi in una manifestazione di risposta sulla considerazione che qualcuno ha di noi. Come se il nostro valore o il valore della nostra vita dipendesse da quanto e come qualcuno ci risponde e pertanto ci definisce-

DAL PASSIVO ALL’ATTIVO. La tecnologia non è un mostro, anche perchè non vive di vita propria e in ogni azione c’è sempre alla base, seppur inconscia, un’azione da parte nostra. Come dico spesso è una questione di forma: dire che Instagram ci tiene incollati non è esatto, perchè non c’è una manina che attira il nostro viso. Siamo noi che ci facciamo incollare da Instagram; è una questione grammaticale. Nella forma passiva il soggetto è il complemento d’agente, deresponsabilizzato dall’azione che subisce ( questo vale anche per altro chiaramente). Non sono i social che creano dipendenza quanto la nostra noia che dà loro potere di intrattenimento. A volte quando sono sulla metro mi chiedo, ma cosa facevano prima le persone al posto di scrollare per tutto il tragitto? Se poi si chiede quanto leggono, media due libri l’anno, è perchè non trovano il tempo. Pensare che su quel coso ammaliatore invece ci si può anche leggere!

EFFETTO DOPAMINA

Come abbiamo sentito dal video e sappiamo ormai da anni, tra i vari effetti sul nostro cervello, i social stimolano il cosiddetto effetto dopamina, ovvero il rilascio della dopamina come in qualsiasi altro comportamento di dipendenza; quindi tutte le volte che perseguiamo i like stiamo cercando l’approvazione e la gratificazione. Tutte le volte che involontariamente anche deviamo ciò che postiamo, abbelliamo le foto, miglioriamo qualcosa più del dovuto non stiamo a caccia solo di accettazione, ma di quel segnale che rilascia quella sensazione di benessere, di piacere e di eccitazione. Un giorno, una settimana e quell’atteggiamento diviene abitudine per cui non possiamo farne a meno…a meno che non vogliamo incorrere nel suo opposto: il disagio, l’ansia di non essere considerati, la non approvazione, la presenza di poche condivisioni sulla rete che al contrario, ci fa sprofondare in una situazione di malessere intollerabile e di vuoto. ( per chi volesse approfondire l’argomento, consiglio il libro qui a fianco)

https://www.ilmessaggero.it/salute/focus/telefono_appena_svegli_mattina_effetti_stress_ansia_cosa_succede_ultime_notizie-7179774.html

Per quanto in realtà sia liberatorio non rincorrere sempre qualcosa, per quanto potremmo usare quel tempo per altro, la verità è che senza dopamina stiamo male, siamo in astinenza.

Ed ecco qui che entra in scena la frustrazione.

BASSA TOLLERANZA ALLA FRUSTRAZIONE- Non Ho trovato studi in proposito, ma sono certa che ci sono molti legami tra l’aumento della bassa tolleranza alla frustrazione ed i social. Ma cosa intendiamo per bassa tolleranza alla frustrazione?

La società narcisista in fondo è una società di bambini fragili e capricciosi, abituati sin dalla tenera età ad ottenere ciò che vogliono immediatamente, perchè gli stessi genitori non tollerano la frustrazione di vedere i loro figli momentaneamente infelici ( e lamentosi) e perchè dare velocemente è la compensa per quello che non hanno avuto loro in passato. E’ naturale attraversare da piccoli un periodo di egocentrismo. direi che è biologico e necessario per la sopravvivenza. Tutto è centrato alla ricerca della soddisfazione del piacere e dell’abbassamento della tensione. La tolleranza è quindi bassissima per stimoli di ogni genere, caldo, freddo, fame, sonno. Crescendo il bambino impara a tollerare queste tensioni sempre di più e a posticipare, quando non è possibile nell’immediato, la soddisfazione del suo bisogno. Ma immaginiamo che invece questo non avvenga e che i genitori lo abituino a ricevere sempre ciò che vuole subito, proteggendolo dai disagi che non impara a gestire autonomamente. La conseguenza è una società di adulti che faticano a crescere, che diviene sempre più incapace ad affrontare ostacoli di vita quotidiana, piccole ansie, persino a volte situazioni di piacere molto intense emotivamente.

Credo che di base gestire la tolleranza a tutto ciò che non arriva subito, richieda sforzo, sacrificio, rinuncia, attesa, pazienza, cose a cui non siamo più abituati. Ma se la ricerca del piacere e la sua soddisfazione aumenta in proporzione si abbassa la soglia della tolleranza e così ci si stanca di più, si sopporta sempre meno, gli stimoli fastidiosi sembrano sempre maggiori e maggiori le conseguenze. Non è un caso che viviamo in una società apatica, annoiata, in cui gli individui soffrono di ansia e di insicurezza e dove il contatto con le emozioni si affievolisce proprio per evitare una percezione di tensione. Se non ci abituiamo a tollerare gradualmente gli stimoli ci indeboliamo; la nostra psiche funziona come il nostro sistema immunitario, entrambi lavorano sulle difese, se ogni volta che stiamo male sopprimiamo il dolore, non cerchiamo di sopportarlo o prendiamo subito i farmaci, alla fine questo non reagisce più. Allo stesso modo disimpariamo ad usare le nostre risorse per risolvere i disagi. Anche la ricerca del piacere può creare ansia alla fine, è comunque un livello diverso di tensione, ma viene avvertito come tale, non è tanto così la soddisfazione edonistica quanto la soppressione di input diversi che alterano la…tranquillità…quello a cui si tende.

I social in fondo per la rapidità con cui vengono usati e per la rapidità con cui si chiede e si aspetta riscontro/risposta, sono un fenomeno che potrebbe accresce la frustrazione e la bassa tolleranza alla frustrazione. Se da un lato mandano in attivo il centro del piacere e il rilascio della dopamina, ottengono per lo stesso motivo l’effetto avverso e contrario- Ancora di più ciò avviene in cui contesto che punta sul confronto morboso, suscitando parallelismi con le vite altrui, voyeurismo, attacchi di invidia, ansia di non vien approvazione, di perfezione. Ci si abitua ad una rapidità di giudizio che non è naturale facendo aumentare l’insicurezza personale. La dipendenza dai like vista così non è più tanto la dipendenza dopaminica dal piacere, quanto il tentativo di sopprimere ogni forma di tensione compulsiva. Dietro l’apparente gratificazione si va celando sempre più un senso di frustrazione che solo la presenza e la visibilità sulla rete può soddisfare, come fosse un biberon che placa appetiti e ansie di ogni genere. Se lo scrolling è una pratica che ormai viene fatta in uno stato di trance, senza cioè averne consapevolezza, osservare di continuo contenuti che ci portano al confronto e in cui il confronto è sempre con percezioni di altissimo livello, stimolano le persone a sognare, a staccarsi dalla realtà perchè troppo frustrante; allo stesso tempo conducono a gradi di insoddisfazione crescenti e a voler eccellere piuttosto che performare ovunque e su ogni cosa in modo eccelso. Così si alimenta il cerchio della bassa tolleranza alla frustrazione.

Ricordiamo per concludere e ribadiamo ciò che è stato detto all’inizio: i social non sono un mostro, ma è l’uso che ne facciamo che li rende tali; un giorno, due, una settima e l’abitudine diviene atteggiamento. Sta sempre e solo a noi decidere quale sia il senso che vogliamo dare alle nostre abitudini e di quali atteggiamenti vogliamo riempire le nostre vite.

Rebecca Montagnino

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