COMFORTABLY NUMB: is there anything in there?

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Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima, il nostro corpo e che qualunque cosa accada continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che non saremmo vissuti invano, poichè abbiamo provato questa ossessione? ” Le Braci, Sandor Marai

TO BE OR NOT TO BE. Cosa resta del sentire se cerchiamo la comodità?

Siamo sempre meno inclini a lasciarci trasportare da ciò che la nostra anima reclama e siamo più propensi a cercare di zittirla. Bilanciare emozione e ragione è uno dei processi più complicati della vita, eppure uno dei più importanti compiti dell’essere umano. Talvolta le emozioni spaventano perchè destabilizzano, per quanto si apprende durante il corso dell’esistenza ad autoregolarle. Spesso non si sopprimono nemmeno per paura, ma per qualcosa che è lontano dall’essere viventi: la comodità..

Quanto ci piace essere comodi? E se foste realmente consapevoli delle conseguenze che la comodità ha portato con sè, se vedeste che oltre a quelle pratiche, tecnologiche, economiche, ne ha provocate altrettante negative come la pigrizia immobilizzante, l’apatia emotiva e la fatica alla riflessione? E se vi vedeste tra cinquant ‘anni quando the game se non è over, è comunque già bello che andato, siete certi che scegliereste ciò che state scegliendo?

“La scienza ha trovato rimedio per molti mali, ma non ha trovato la cura per il peggiore di tutti, l’apatia degli esseri umani. ” Hellen Adams Keller

Se vi dicessero che alla comodità psicologica può seguire l’apatia (che non è solo non-soffrire, ma non SENTIRE) e che a questa consegue l’indifferenza, vi cambierebbe le cose?

GALLEGGIARE ANZICHE’ NUOTARE. Se penso oggi che uno dei post più letti sul mio blog è quello “Costipati emotivi“, non sento la soddisfazione per la lungimiranza di allora, semmai provo tristezza per la profezia avveratasi. Quello che allora era una tendenza iniziale, è divenuto ad oggi un modo di essere di cui ci si sente persino fieri, quasi stoici, ci si illude che dominare la vita interiore con la ragione sia segno di forza. La verità sottesa: è solo più comodo. Al riparo dalle tensioni emotive della vita a lungo andare ci si abitua e si sta bene (o si crede fino al momento in cui qualcosa fa crollare quel mondo di carte).

Almeno per molti. Non ci si rende conto invece che il rischio di non sentire è forse anche più pericoloso. Il termine apatia significa infatti “incapacità prolungata o abituale di partecipazione e di interesse sul piano affettivo o anche intellettuale.”

Si galleggia in questo stato cercando acque calme/piatte, possibilmente niente onde, senza considerare che sono proprio quelle che ci definiscono e imprimono ricordi nella nostra memoria.

LA VITA COME UN FILM SENZA EMOZIONI Senza emozioni è come uscire da un cinema dopo aver assistito ad un film di cui non resta nulla; magari il film era intenso ma non siamo stati in grado di empatizzare e di coinvolgerci (o magari eravamo distratti dal telefonino) oppure era orrendo e non abbiamo optato per andarcene. In qualsiasi modo siamo rimasti seduti, inerti a goderci quel nulla, senza reagire, compiaciuti della propria passività. Essere apatici implica in alucni casi, anche aspirare al nulla mentale e non in senso mindfulness, ma in senso di oblio. Per questo un pò alla volta, lo spirito critico si disattiva lentamente e viene messo nella categoria delle cose pericolose: potrebbe generare la presa di coscienza della realtà. Potrebbe spaventarci, sbatterci difronte a ciò che è scomodo osservare, potrebbe persino poi richiederci di fare qualcosa.

“PREFERISCO MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA” EMILE ZOLA

Ciò che si vuole, talvolta si pretende, è che tutto sia comodo, che non alteri i battiti cardiaci o il respiro, che non richieda impegno e non faccia sudare o piangere. Niente ascolto di sè o degli altri, non mettersi in gioco, non esporsi; meglio accontentarsi- non inteso come godimento di quello che si ha- quanto spegnere l’impeto di desiderare al suo nascere. Tra l’altro nella comodità non si gioisce veramente, piuttosto ci si anestetizza.

Mi ritorna in mente il personaggio di Stephane nel film di Claude Sautet, Un cuore in inverno“, sempre citato in quel post, che ha deciso di vivere chiuso nella sua bolla senza interferenze umane esterne, quando afferma che non ha accesso ai sentimenti. L’apatia infatti provoca la crescente impossibilità di avere, se volessimo un giorno riprenderci quello che rifiutiamo oggi, accesso al sentire.

LA PERDITA DEL DESIDERIO. La sosta nella confort zone nel tempo tende ad abolire i desideri perchè minacciosi, i bisogni perchè creatori di conflitto, persino la curiosità perchè spinge l’uomo oltre le colonne di Ercole, avventurandolo in cose che non conosce.

Ciò che non conosciamo ci spaventa non soltanto perchè è i-gnoto, ma perchè richiederebbe una risposta emotiva che non sappiamo se saremo in grado di gestire. Non ci va di fallire o sentirci inadeguati; così rifiutiamo educatamente di affacciarci nel nuovo, tanto più se è faticoso, ma persino quando è troppo entusiasmante. Come fossimo saponette…E soprattutto rischia di sbatterci nella temuta responsabilità.

Gli unici bisogni e desideri che sopravvivono oggi sono quelli della visibilità e del riconoscimento. Servi del consumismo e figli di un vivere sempre più superficiale e disconnesso con l’umano, sono i segni di un ‘umanità che si allontana dall’umano.

LA RINUNCIA E’ come dire rassegnarsi di mangiare del pane che non piace magari, pur di non camminare fino ad un altro fornaio per provare a trovarne uno buono. E’ così demoniaca la comodità che alla fine ci fa credere che quel pane ha un ottimo sapore. Tanto se sopprimiamo pure le sensazioni, ci sarà prima o poi un app che ci dirà quale sapore dovremmo provare.

A PORTATA DIN CLICK La variabile vicinanza si lega con comodità, finendo con il prevalere sul gusto. Si crea in tal modo un esercito di zombie che si anestetizzano dalle emozioni e sentimenti come possono, che sia cibo, alcool, Netflix, qualsiasi cosa per restare nel limbo.

Nella La montagna incantata, un capolavoro di Thomas Mann narra la storia di alcune persone che rimangono ad oltranza in un sanatorio, luogo che nel secolo scorso era una sorta di resort post convalescenza. Stanno così bene lontani dagli affanni della vita, che non vogliono più guarire ed andarsene. Quel senso di beatitudine molle in cui personaggi del suo romanzo fluttuano, mi ricorda l’attuale strato di apatia che compiaciuto, avvolge cervello e cuore.

LO STATO DI URGENZA Tale stato di inerzia spiega due fattori che definiscono la nostra epoca, la mancanza di azione, intesa come mancanza di motivazione; se non c’è emozione infatti, non c’è urgenza e il galleggiare resta dolce in questo mare.

Il secondo è la passività intesa come indifferenza/desensibilizzazione difronte qualsiasi ma davvero qualsiasi cosa che avviene nel mondo. Se non c’ è mordente per noi stessi, figuriamoci per gli altri. Non a caso un sinonimo di urgenza è premura, che diviene sempre più fievole sia verso la nostra persona che l’altro.

Quello che dovrebbero indignare finisce per far sollevare al limite un sopracciglio, quello che dovrebbe farci agire per proteggerci, proteggere il nostro pianeta, crea uno sbadiglio di sconforto. La domanda comoda resta: ma io che ci posso fare? Non riesco a fare nulla! In realtà non tento, perchè nel profondo non sono mosso da nulla o quello che sento è annacquato.

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA

Da “Passione”, Paolo Crepet

La chiusura emotiva non è un problema recente, basta ricordare che Lowen e prima di lui, Reich mettevano in guardia da un futuro in cui l’aspetto emotivo si sarebbe sbiadito, procurando una disconnessione con sè stessi, con gli altri e con il proprio corpo. Sono decenni che Galimberti tuona parlando di analfabetismo emotivo. Ma se tutto ciò non viene “avvertito” come un pericolo, non vengono nemmeno prese misure cautelari.

La passione è l’anticorpo naturale alla paura della vita, per questo è perfino ragionevole” Paolo Crepet

A VOLTE MI PARE SI DIVERTANO DI PIU’ I PESCI ROSSI IN UN ACQUARIO Pare che in questa quieta e comoda apatia ci si senta bene, calmi, placidi, al caldo come nella pancia materna, perchè al riparo dai tumulti del mondo, senza comprendere che ci si mette al riparo dalla vita stessa e dall’opportunità di viverla autenticamente.

Il resto, quello che sta al di là dell’acquario diviene fuori controllo; ormoni ed emozioni sono percepite come minaccia a quella sorta di integrità che somiglia ad una voluta lobotomia. Sempre Crepet afferma : ” Così, giorno dopo giorno la comodità cattura buona parte dei giovani (non solo, ndr) Se tutto è diventato facile, lo diventano anche sentimenti ed emozioni: tutto pronto all’uso come un take away o una bevanda solubile. Una regola non scritta, un patto faustiano, un baratto terrificante: comodità in cambio di emozioni preconfezionate. La diventa improvvisamente morbida e facile. “

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PERDERE IL SENSO Si perdono in questo processo anche valori, identità. Piuttosto si vendono sulla piazza quelli che creano consenso, pur di essere accettati e senza avere fastidi e piacere agli altri.

E poi piano piano viene a mancare ovviamente il senso della vita, manca la sua stessa ricerca, ci si annoia, ci si sente vuoti, si tira a campare (frase orrenda). Che senso posso cercare se non ho valori che mi guidano, motivazioni che mi diano uno stato di urgenza e mi fanno ribollire le viscere?

Finchè un giorno la montagna apparirà disincantata… A lungo andare un cuore che non sente, è un cuore che non batte. E un cuore che non batte è un cuore che non vive.

“A HEART WHO HURTS, IT S A HEART WHO WORKS” BRIAN Molko

Rebecca Montagnino

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5 risposte

  1. marta pisa ha detto:

    Grazie per aver scritto questo articolo.
    Ho una domanda.
    Anche l’autodistruttività è comodità?
    Perché mi rendo conto che c’è un’agire coatto per tornare spesso se non sempre allo stesso punto che se non è depressione ci si avvicina.
    È sempre un costruire per distruggere per ricostruire…e così via.
    L’affetto esterno mi aveva aiutato molto, mi è difficilissimo trovarlo dentro di me, sento il bisogno di aggrapparmi a qualcosa, ho capito che non si può farlo con le persone, ed è forse il bisogno e fame di quella passione di cui parli. Poche volte mi sono sentita piena ed è stato aiutando gli altri intorno a me. Aveva fermato per poco tempo quel circolo vizioso.
    Prima di chiedere forse dovremmo dare, aiutare, stimare, essere grati. È solo spaventoso farlo completamente da soli, ma prima o poi ci si arriva.

    • Rebecca Montagnino ha detto:

      Ciao Marta, si anche l’autodistruttività può esserlo, non nel senso del termine specifico, ma come risposta ad uno schema che riteniamo abitudine o famigliare; a volte serve per distoglierci dal trovare altre direzioni, dalla responsabilità. Può esser parte della comfort zone anche se apparentemente riveste un ruolo malsano, nasconde un qualcosa che avvertiamo come sano. La passione inossidabile è presente all’interno di ognuno e prescinde dal rapporto con gli altri. Forse la precede o forse l’accompagna, ma se la vuoi prima o poi arriva si. Grazie a Te

  2. marta ha detto:

    Quali domande ci possiamo porre per capire da soli quando stiamo andando incontro alla comodità e per venire a contatto con noi stessi?
    Oltre al “perché lo faccio?”

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