Psicologizzazioni e la spontaneità delle emozioni
Detto da chi della psicologia ne ha fatto la sua professione, ancor prima la sua mission e la sua vita forse, può suonare strano. Psicologizzare significa analizzare e vedere tutto sotto un’ottica psicologica, il che se pensiamo quanto ogni cosa parli di noi e di come siamo fatti, da un lato appare chiaramente plausibile; dall’altro rischia di creare una lettura caotica della vita a tutti i costi “analitica” e machiavellica. Ancora meglio la parola psicologizzare indica l’uso che si fa comunemente dei termini psicologici, come dei concetti ad opera di chiunque e in modo spicciolo; tendenza che sale tra coloro che seguono un percorso terapeutico o sono interessati all’argomento. Forse il fenomeno è andato progressivamente normalizzandosi anche per l’ abitudine a sentire ed emettere pareri che provengono dalle impressioni o vicissitudini personali, senza nessuna validità di causa scientifica. Nessuna disciplina è tanto inflazionata come la psicologia, in quanto tocca ogni aspetto dell’Umano. Se durante il lockdown tutti si sentivano un pò virologi, da ancor prima si sentivano già un pò sociologi. Proprio perchè la materia riveste un posto sacro dentro di me e ne comprendo la rilevanza anche su un piano di competenza, evito da sempre le “psicoligizzazioni” e mi sento trasalire quando realizzo quanto la materia sia diventata uno strumento di massa e vedremo anche… un’arma di massa..
Se paragono le relazioni, che siano in campo amicale o affettivo di oggi, con quelle di un tempo, apprezzo molto quanto siano evolute da un punto di vista di consapevolezza e abbiano perciò acquistato un valore aggiunto. D’altra parte spesso questa consapevolezza non è sempre cosi solida e i rapporti divengono un mezzo in cui si cerca di conoscersi meglio o di sfrugugliare nelle rispettive irrisolutezze. In fondo la differenza tra parlare con uno psicologo ed un amico dipende dalla competenza e dal grado di obiettività, nonchè dalle conoscenze del secondo. Avere voglia di condividere e mettersi a nudo è ovviamente importante umanamente e permette di creare legami più profondi. Fin qui è la parte bella…il brutto viene quando come per ogni cosa si esaspera quel lato alla ricerca accanita di analisi o significati, letture comuni o dietrologiche che non fanno bene alla salute della relazione. I rapporti di amicizia divengono in alcuni casi, terapie di gruppo in cui ognuno racconta dove si trova nella sua vita, espone se stesso anche togliendo quel velo di pudore che la natura della relazione richiederebbe, aspettandosi una comprensione ed un aiuto un pò troppo terapeutico. Il mondo interiore si dilegua a favore del mondo esteriore, la riservatezza e la preziosità, nonchè l’introspezione con sè stessi, viene persa. Si manca di leggerezza e anche dell’evidenza che ci si confronta con gli altri anche parlando di sè stessi attraverso altri argomenti; cosa leggiamo, le nostre idee politiche, un’esperienza comune in fondo dicono tanto di noi. Parlare sempre del personale rende quel personale meno intimo, meno interiore e prezioso. Colpa anche dei social aggiungerei…che hanno portato ad esibire la propria natura con una nonchalance che rasenta la spudoratezza. Alla mancanza di conoscenze sopravviene una lettura filtrata da quello che si conosce soggettivamente del mondo, con il rischio di banalizzare la realtà, sostituendo la realtà esterna con la percezione interna.
Le relazioni di amicizia divengono spesso relazioni d’aiuto non solo nel senso di crescita parallela per cui si cresce e si evolve anche attraverso le esperienze di vita fatte insieme, ma come una forte richiesta/pretesa di aiuto psicologico e di sostegno. Se ci si analizza da un lato con ferocia, specie quando si soffre per qualcosa, al contempo si mostra all’esterno solo una piccola parte di sè, quella selezionata per rappresentanza.
Persino i rapporti in pubblico risentono di quest’inflazione : siamo abituati a sentire le persone raccontare qualsiasi cosa personale urlando al telefono, senza inibizione e non di rado accade nei negozi, nei rapporti di lavoro, di mettere a nudo la propria vita con una velocità della luce…come se tutto il mondo fosse diventato un immenso web. Un’esperienza nemmeno ha il tempo di essere stata vissuta, che già viene raccontata o..postata..
I rapporti intimi risentono ancora di più della psicologizzazione soprattutto quando stanno nascendo; il voler capire l’altro (per capire quale mossa fare e non per il puro piacere di scoprirlo), viene anteposto a capire i nostri sentimenti. Svisceriamo frasi, messaggi, peggio di un investigatore e quando la coppia è formata le discussioni assumono l’aspetto di “scene di un matrimonio” alla Bergman. Il rischio è di sentirsi idraulici senza conoscere bene gli impianti idraulici, per cui toccare un tubo sbagliato e romperlo, diventa facile.
In tutto questo soprattutto dove è finita la spontaneità, il fluire sacro dei sentimenti, la naturalezza, il piacere del dare senza un secondo fine, senza il bisogno di creare così fidelizzazioni ed evitare il giudizio o il rifiuto???
Sento parlare come nell’articolo di messaggi, di risposte, di comportamenti ma sempre meno di sentimenti che non potrebbero esserci in effetti se ad ispirarci non è il piacere dell’altro, ma la perfezione o meno del nostro candidato ideale su Instagram. Può il desiderio, fatto anche di odori e gesti, di sorrisi colti all’improvviso essere trasmesso da una foto in posa o da un profilo scritto da chi vuole soprattutto corrispondere a quel profilo ????? Capiamo che ci innamoriamo quando il nostro sistema neurovegetativo ci invia dei segnali particolari: il cuore che batte, le palpitazioni, il respiro corto, un odore che ci attira. Come fanno ad attivarsi questi segnali sfogliando un catalogo di immagini?
Così quando ho trovato l’articolo sottostante che vi invito a leggere, ho pensato, in effetti che fine hanno fatto i sentimenti propri dell’amore …quanto siano ancora presenti, quando sentiamo parlare d’amore di cosa stiamo sentendo parlare oltre che di strategie, botta e risposta su chat, vita infantile e relativi traumi del desiderato, comportamenti, interessi…dove è finita la pancia? Come se fosse più facile incontrarsi e capirsi sui social, addirittura conoscersi.
Così come addetti alle risorse umane, vagliamo il giusto candidato; il posto vacante da collocare, a volte solo un numero in più per la propria panchina di “riserva”, da mettere nel letto o per sempre nella nostra vita. Per paura di essere “fregati” dall’altro (cosa che poi dai social non solo non si scappa ma si rincorre ), cerchiamo l’offerta migliore o…spesso inconsciamente ed unicamente l’immagine di noi che, in chi cerchiamo di avere accanto, si rispecchia!
Rebecca Montagnino
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