IL MURO

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Il muro è il simbolo della paura.

Il muro che separa due popoli, che li porta all’odio, alla guerra,  racchiude la più profonda metafora della divisione. Nasce per proteggere,  ma  invece separa. La metafora primordiale del muro tra i due sessi, quello che erigiamo verso gli altri,  ancora quello che attiviamo tra mente e nostro corpo, rappresenta  l’archetipo della risoluzione   di un conflitto tanto esteriore che interiore.

E’ aberrante quest ultimo divario, tra la mente ed il corpo, eppure così palese la sua manifestazione, così epidemica, che non ci facciamo più caso. Un tempo lo notavamo di più, perchè per relazionarci eravamo costretti a “vederci”, il telefono non veniva usato, se non in casi necessari e non per comunicare come oggi di tutto e di più (ma davvero molto, ma molto di più..) Guardavamo l’altro negli occhi, guardavamo il suo corpo mentre parlava. Non ci scappava un suo tamburellare con le dita. Magari sul momento lo immagazzinavamo distrattamente, poi risaliva alla mente e veniva a comporre un’informazione sensibile. Per quanto difficile, usavamo il nostro intuito e per quanto i “grandi” ci dicessero che fosse sbagliato, un pò alla volta forgiava la nostra esperienza e ci permetteva di testarlo, correggendo le nostre valutazioni e i nostri comportamenti. Le emozioni  e le  sensazioni ci preparavano ad affrontare eventi importanti, senza dover riflettere sul da farsi. Fungevano quindi, assieme all’intuito, da segnalatori, erano meccanismi automatici di valutazione che scandagliavano il mondo intorno  e ci avvisavano cosa stava avvenendo, mettendoci in guardia per eventuali pericoli o per avvisarci di qualcosa di piacevole. Dovevamo imparare a conoscere e a fidarci del nostro intuito.

Oggi che le persone non vivono più i loro corpi e le emozioni che vi abitano dentro, hanno perso istinto e  intuito.  Non sono più strumenti di valutazione in quanto ci siamo disabituati  ad usarli.  Gli esseri umani si ritrovano a guidare  un carro, senza tenerne le briglie. I cavalli vanno dove vogliono o peggio, chiunque può guidare il carro al loro posto.

Il muro  divide per il diverso colore della pelle: ricordiamoci   che la pelle  è la membrana che separa il nostro Io dal mondo esterno, non a caso il detto” mettersi nella pelle di qualcun altro”; è il muro che ci spaventa per le diversità sessuali, in quanto mette in discussione le  nostre convinzioni su cosa sia realmente l’amore. Piu sbaraglia quelle che crediamo essere le nostre certezze e   più vi ci aggrappiamo come naufraghi, nella speranza di non perderci. In realtà è proprio guidando senza la nostra parte sensibile, che rischiamo di perderci.

Perchè possano crollare i muri fuori, debbono crollare quelli dentro, perchè più si ha bisogno di avere dei confini, più si è vicini ad un territorio sconosciuto che ci fa paura. I confini sono quindi schemi, stereotipi che aumentano paradossalmente  più aumentano gli stimoli. Senza sentire il proprio corpo, senza quel criterio di valutazione, non resta all’uomo di oggi, che irrigidire sempre di più i suoi schemi cognitivi ed emotivi. Da qui la difficoltà di scelta, di capire cosa si prova,  semplicemente di provare, o peggio ancora di far connettere ciò che si pensa, con ciò che si sente. L’unica difesa rimasta, è l’avvinghiarsi alle proprie convinzioni. Soprattutto quando ciò che  si sente è destabilizzante, com’ è naturale che sia la vita,  la persona  teme ancora di più di essere sopraffatta da qualcosa che non conosce e ancora prima di chiudersi all’altro, si chiude nel suo universo emotivo e fisico. Spezza il corpo, temendo che quelle sensazioni che non ha imparato a conoscere o che ha dovuto congelare, lo possano travolgere. Il bisogno di controllo diventa paralizzante, così oggi le nostre pance scoppiano e i nostri corpi si indeboliscono. Riconosciamo il nostro corpo solo quando non risponde ai nostri comandi e siamo incapaci di ammettere, per quanto sappiamo sia vero, che la testa è parte del corpo e viceversa. Abbiamo perso l’abitudine di ascoltare e “vedere” il nostro e altrui corpo (nel film Avatar ti vedo significa non solo vedere l’altra persona, nel senso semplice dell’atto di vedere, ma significa riuscire a comprendere tutto di esso, significa: credo a ciò che i miei sensi manifestano. Significa ti vedo e non vedo solo me stesso, anzi cerco di entrare nel tuo territorio rispettandoti). Un corpo che non sente, non “vede”.

Affinchè la persona possa vedersi davvero e vedere gli altri, deve poter usare la sua parte sensibile, il suo istinto. In fondo tutte le emozioni hanno un linguaggio fisico. Riconosciamo la rabbia perchè ci fa stringere la mascella, la paura perchè ci chiude la gola, le emozioni parlano sempre e a chiunque, perchè sono prima di tutto fisiche. La vergogna ci fa distogliere lo sguardo, perchè quando sappiamo di aver sbagliato, abbiamo paura che qualcuno possa guardarci dentro.

Ci servono quei segnali non solo per valutare e affrontare la realtà che abbiamo intorno, ma per guidare  la nostra volontà. Non possiamo sapere dove andiamo, se non sentiamo di cosa abbiamo bisogno. Invece i nostri corpi sono bloccati, condizionati, divisi dal nostro pensiero. In francese essere bloccati si dice coincé; la parola deriva dal sostantivo coin, che vuol dire anche angolo. L’immagine di qualcuno incastrato in un angolo rende molto bene, implica il vedere solo attraverso un’unica angolazione o sentire solo attraverso un proprio schema.

Pertanto se vengono messi muri e confini a chi tenta di scappare da un massacro, ci sentiamo indignati, ma al contempo  costruiamo muri che ci permettono di tollerare una situazione simile, mettiamo altri muri di insensibilità per poterlo permettere e vivere candidamente. Così smettiamo di sentire l’altro, me, i miei conflitti, le mie paure, la mia impotenza.

 

Difronte a questa consapevolezza l’uomo può  reagire o mettendo altri mattoni e costruendo muri più alti, o lasciando che il corpo si sciolga e torni a sentire. Che ci sia perciò un e-mozione ..

A.Lowen daIl tradimento del corpo“- Di norma la gente non si chiede: “Chi sono io?”…ognuno ai limiti della coscienza è insoddisfatto, indeciso e tormentato dalla sensazione che qualcosa della vita gli sfugge. E’ in conflitto con se stesso, insicuro di ciò che sente e l’insicurezza riflette il suo problema di identità..L’esperienza della perdita di contatto con il corpo, insieme a sensazioni di estraneità e irrealtà, è nota come spersonalizzazione. …

Il senso dell’identità scaturisce dalla percezione del contatto con il corpo. Per sapere chi siamo dobbiamo essere consapevoli di ciò che sentiamo, dell’espressione del nostro viso, del nostro portamento, del modo in cui ci muoviamo…Nella nostra civiltà la maggior parte delle persone soffre di confusione di identità. Si sentono minacciati e si infuriano quando qualcuno mette in discussione il ruolo che hanno adottato nella vita…

Noi abbiamo esperienza della realtà solo per mezzo del corpo, l’ambiente esterno ci impressiona perchè tocca i nostri sensi. Se il corpo è poco vitale, le percezioni e le reazioni si attenuano. La vitalità del corpo è indice della sua capacità di sentire. L’immagine è una concezione mentale, che sovrapposta all’essere fisico, riduce l’esistenza corporea ad un ruolo sussidiario- 

 

Rebecca Montagnino 

 

BIBLIOGRAFIA:

– Il tradimento del corpo, A.Lowen

– Il linguaggio del corpo, A.Lowen

– La società dell’incertezza Z.Bauman

– Te lo leggo in faccia, P.Ekman

 

FILMOGRAFIA:

-Avatar, J. Cameron 2009

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