The TRUE-MAN SHOW: cosa è davvero reale?

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In un momento storico in cui il dibattito tra cosa sia vero o falso è sempre all’ordine del giorno, dove viviamo nella rete cercando di sviscerare le fake news da quelle reali, ho ripensato a questo film. Rivedendo Truman show riflettevo su come in fondo il titolo sia un richiamo a True man show. Potrebbe sembrare datato per molti di voi che lo ricordano, se così consiglio di rivederlo (e per chi non lo conoscesse ne suggerisco la visione), invece credo sia un film ricco di metafore sulla vita che lo rendono sempre attuale. L’allora idea che qualcuno vivesse in un mondo finto e osservato dagli altri, poteva apparire una visione fantascientifica mentre oggi è diventata quasi normale: avviene e avviene inoltre volontariamente. Quello che sembrava un tempo un incubo è divenuto un sogno; anzi il momento di pura gloria e attenzione per cui il nostro privato diviene pubblico viene ricercato e ricevuto ogni giorno dai profili dei social. Le vetrine da cui cerchiamo il compiacimento e l’ ammirazione degli altri è la nostra seconda casa, quella stessa da cui Truman è scappato. Pensiamo che stiamo gestendo noi la situazione, mentre forse siamo incastrati in un sistema che ci muove con fili nemmeno poi così trasparenti. Quel bisogno di apparire in rete è tanto, che vendiamo ormai consapevolmente i nostri dati personali in modo gratuito in cambio di un pò di visibilità!

Eppure l’emozione che si prova alla fine del film, è il sollievo che condividiamo con il protagonista nel momento in cui esce dalla realtà parallela ed entra nella vita vera; quante delle nostre attività nella rete non sono in fondo atti di vita parallela? Quanti dei profili creati su misura non hanno altro fine che raggiungere consensi, acchiappare contatti, sedurre. Quest’ aspetto sociale rappresenta la versione comica di quello che Black Mirror ci sbatte invece in faccia con relativa angoscia, presentandolo come un qualcosa di destabilizzante; noi nella rete ci infiliamo beatamente, cercando di entrare e stare in prima fila nel Truman Show, di apparire appetibili, davanti a The Big Other, come definisce il mondo virtuale degli altri Shoshana Zuboff in “Capitalismo della sorveglianza”.

Un altro aspetto interessante del film è come Truman rappresenti il passaggio e il distacco dalla famiglia –dove stai andando Truman?..hanno già esplorato tutto-, questa frase risuona e richiama la fatica emotiva e pratica di staccarsi dal copione famigliare, come lui cerca di fare, uscendo da quel contesto, anche quando lo percepisce non autentico e malsano. La stessa reazione la riconosciamo in noi tutte le volte che indugiamo o addirittura restiamo incollati a situazioni affettive che ci fanno star male, che provengano dalla famiglia d’origine come ad un partner che ci manipola, ad un lavoro che ci opprime. Abbiamo visto nel post precedente quanto la zona comfort possa essere una trappola, un luogo che ci risucchia semplicemente perchè è un mondo ordinario e quindi prevedibile/rassicurante per noi. Truman rappresenta così la differenziazione dal nucleo d’origine, l’uscita dal caldo liquido amniotico e il raggiungimento dell’autonomia, situazione che sappiamo difficoltosa per molti ragazzi oggi. Rappresenta la voglia di trovare sè stesso altrove, nonostante il mondo famigliare intorno a lui lo riporti all’interno. Vive bene nella sua “cella” finchè non capisce che la vera vita sta fuori e finchè non consapevolizza il gioco di cui, suo malgrado è protagonista. Questo spiega, senza che il film scavi in modo introspettivo perchè non vuol essere un film psicologico, sulla fatica a prendere le distanze dai meccanismi che possono sembrare assurdi per chi li vede da fuori, meccanismi che ci fanno restare invischiati in situazioni anche quando ci provocano sofferenza. Restiamo paralizzati dalla paura di andare via e lasciar andare via soprattutto i rapporti manipolativi, perchè ne siamo una parte essenziale. Sono il nostro habitat. Esistono in tutti noi sempre nella vita e ancor di più in chi ci si trova dentro, due forze contrastanti: la libertà da un lato e la sicurezza dall’altro e sappiamo come l’uomo sia più incline a scegliere la seconda.

Quando abbiamo vissuto per molto tempo nella non autenticità ci abituiamo a quella vita, non conosciamo altro e finiamo con il credere che quello sia l’unico mondo possibile, dubitando persino dei segnali che sentiamo o vediamo quando ci indicano verità diverse. Abbiamo la realtà che ci indicano i grandi e quella nostra e chiaramente per il bisogno che abbiamo dei punti di riferimento familiari, crediamo ai loro. Così si formano convinzioni, condizionamenti, falsi sè. Molti bambini che sono cresciuti in situazioni famigliari non autentiche, in cui erano costretti a credere e a modellarsi ai copioni di cui erano parte, faticano crescendo ad affidarsi al loro intuito e si portano dietro un senso di insicurezza e non affidabilità rispetto alle loro percezioni. La vita costringe un pò tutti a cercare la chiave di lettura personale, una verità nostra. Più la situazione da bambini che viviamo è difficile, più viene idealizzata e più ci vuole tempo per allontanarsene. L’il-lusione inoltre porta inevitabilmente con sè la de-lusione, quando cresciamo è come se dovessimo riscrivere la nostra storia, quella che abbiamo visto noi

Il film infine ci riporta sul sottile confine tra la nostra realtà, come quella a cui vogliamo credere -che è in qualche modo una parte della verità..Ciò che desideriamo proiettiamo. La mappa non è il territorio però, come la nostra realtà non è universale. Spesso partiamo dal nostro punto di vista per leggere il mondo, presumendo che sia lo stesso per tutti. Restiamo perciò ciechi difronte a fenomeni che restano invisibili e incomprensibili per noi, ma visibili e comprensibili agli altri . E’ capitato a chiunque credo, in ambiti diversi magari, di realizzare un giorno che non avevamo capito nulla della realtà che vivevamo, impegnati a creare sopra quello che desideravamo fosse. Si impara dolorosamente e con fatica ad essere obiettivi, perchè con il tempo si comprende che conviene, tanto prima o poi saremo costretti a farlo.

Magari è per questo che The Truman Show ci colpisce e lo ricordiamo anche con un… colpetto nello stomaco.

Rebecca Montagnino

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