THE IRRATIONAL MAN

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Tempo di lettura: 3 minuti

The irrational man non è un thriller…o non solo.

E’ un film sulla filosofia,  dà infatti  le stesse sensazioni di quando la studiavo. E’ l’amore per la  disquisizione sui diversi punti di vista,  argomentati ogni volta sapientemente in modo da farceli sembrare logici e rassicuranti, seppur ogni volta trattati  da angolazioni molteplici. (Mi ricorda il saggio “Le Consolazioni  della filosofia” di Alain DeBotton…dove la  riflessione filosofica diviene non a caso, un atto consolatorio rispetto alle nostre domande esistenziali).

Questo film in particolare tocca la morale con un tema forte come quello dell’omicidio e pertanto ci coinvolge al punto che è difficile estraniarci per osservare semplicemente e con distacco, come non esista un “giusto o sbagliato”, ma solo un modo soggettivo di intendere la Verità. La filosofia dovrebbe servire a questo, a rendere la nostra mente elastica in grado  di scegliere tra più prospettive,  prima di prendere una posizione.

Il fatto che la morale riguardi un omicidio  ci depista un pò,  mettendoci totalmente  nel ruolo della vittima (come moralmente siamo chiamati a fare). Quello che è scomodo osservare invece, è che  in fondo uccidere per uno scopo che si crede benefico per l’umanità, è il principio ispiratore di chiunque combatta le guerre, qualsiasi guerra. Per quanto non ci piaccia pensarlo o siano sporchi quei panni da indossare.

Il film non ci chiede direttamente di scegliere da quale parte stare, quanto di riflettere su come la verità sia un fatto puramente arbitrario. Oggi più che mai, visto che è altamente egocentrica e autoreferenziata (anche autoacclamata oserei aggiungere).

Per cercare l’obiettività invece,  dobbiamo uscire dai nostri soliti schemi, proiezioni, individualismo e dalla paura della responsabilità. Le persone hanno iniziato già da troppo a muoversi nel mondo come se le loro azioni non avessero ripercussioni e conseguenze, come fossero coperte da un indulto morale. La psicologia stessa ha favorito questo senso di deresponsabilizzazione, divenendo  un alibi per giustificare l’assenza di moralità invece di far osservare le conseguenze dei nostri atti sugli altri-  favorendo ancora,  un iper attenzione e focalizzazione sull Io tale  da calpestare il rispetto altrui.  Così nella giurisprudenza, dove le difese egli avvocati si avvalgono sempre più di “cause” psicologiche per decolpevolizzare l’imputato; nell’educazione dei bambini, dove il timore di esserne rifiutati e non amati abbastanza, fa si che i genitori corrano ad appianare qualsiasi loro problema, per evitare un trauma, ma  rendendo i figli in tal modo anarchici, ineducati e quasi cerebrolesi.

Nelle relazioni di qualsiasi tipo, dove i problemi personali diventano l’alibi migliore per non assumersi la responsabilità di  correggersi, disciplinarsi, perchè no, risolversi. Questo non vale solo per i nostri di problemi, ma si estende ad una cecità di analisi dell’altro, in questo caso per non dover correre il rischio di valutare le conseguenze del malessere che ce ne deriva e rischiare la conflittualità, se non la solitudine. Viviamo nella deresponsabilizzazione  quindi per non vedere e non vedendo, non ci sentiamo costretti ad agire.

La psicologia a buon mercato ha creato la proliferazione di eccessive indulgenze, che nemmeno tutta la Storia della Chiesa ha mai prodotto. Dovrebbe essere  a  servizio per aiutare a leggere la realtà, non per deformarla o manipolarla ad uso e consumo del momento. Dovrebbe far luce su quegli aspetti che non vogliamo notare, non assecondare le paure di affrontare la vita. Eppure sento che un pò lo è diventata, la grande mamma in cui nascondere le nefandezze o il cuscino su cui abbandonare il peso delle proprie azioni.

Tutti vorrebbero un mondo più sano e consapevole, eppure sembra così arduo esporsi a risanare e consapevolizzare prima se stessi, ad uscire dalla propria autodefinizione. Assumersi la responsabilità che il male che tanto ci fa inorridire fuori, dipende anche dal male che, per invidia, per intenzione, per rivalsa, per pigrizia, per paura, per proiezione,  facciamo anche noi gratuitamente agli altri.

Chiediamo più educazione, più disciplina  senza vedere che siamo i primi che non ci discipliniamo quanto potremmo.

E’ vero questa società conformista fa di tutto per renderci più ottusi, pigri e  superficiali. Ma accanto alla verità soggettiva che ci fa comodo, accanto alla moralità collettiva che ci protegge ( nel senso junghiano del termine), esiste una verità collettiva e una morale personale, che ci piaccia o meno richiede lo sforzo di essere affrontata per poterci definire esseri umani. Senza sconti o alibi.

“La moralità non è propriamente la dottrina di come renderci felici, ma di come dovremo diventare degni di possedere la felicità.” (Immanuel Kant)

“Divenire adulto significa imparare a vivere nel dubbio ed a sviluppare attraverso le esperienze  la propria filosofia, la propria morale. Evitare il pret-a-penser” (Hubert Reeves)

 

Rebecca Montagnino

 

 

FILMOGRAFIA:

  • The irrational man, W.Allen

BIBLIOGRAFIA:

  • Le consolazioni della filosofia, A. De Botton

 

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2 risposte

  1. Rebecca Montagnino ha detto:

    q…sta per quasi?

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