SICK OF MYSELF

Ridimensiona il testo-+=

Tempo di lettura: 7 minuti

Sick of myself è un interessantissimo film di Kristoffer Borgli. Tradotto: malato di me stesso, parafrasato: malato di Ego.

Quando ho letto questo titolo ho pensato che conteneva e probabilmente concordava con concetti su cui rifletto da tempo; quando ho letto la trama ho capito che DOVEVO assolutamente vederlo e quando l’ho visto, l’ho trovato semplicemente geniale. Audace, provocatorio, psicologicamente perfetto. Scomodo al punto giusto; ci sbatte fuori dalla comfort zone a pedate e ci sbatte in faccia, senza edulcorarla, la realtà di oggi.

Posso immaginare che per molti la visione sia stata destabilizzante, indigesta, persino scioccante, che la vicenda e le dinamiche dei due protagonisti possano sembrare assurde. Eppure è astutamente reale e soprattutto accurata.

E’ dentro e intorno a noi

www.corriere.it/spettacoli/cinema-serie-tv/23_settembre_30/01-spettacoli-apretxtcorriere-web-sezioni-ba36a562-5f99-11ee-90c1-070c

https://www.rollingstone.it/cinema-tv/film/quando-ci-siamo-ammalati-di-noi-stessi/797371/

UN BAGNO DI REALISMO. Già la trama ci schiaffa davanti ad un film che concepisce il cinema, non come pura evasione o fuga dalla realtà. Il cinema come tutte le arti è anche un modo per sognare e spostare la mente su cose leggere e belle.

I film di Borgli invece appartengono ad un altro versante, vogliono scuotere forte, farci vedere ciò che mettiamo da parte, denunciare un modo di vivere, un modo di apparire, buttarci nell’incubo semmai. Specie quando il poco digeribile non è un esercizio di violenza gratuita, quanto una presa di coscienza. La sua bravura non sta solo nel scegliere storie crudelmente vere, alla black mirror per intenderci, è la scelta di parodiarle in una commedia che ci shakera per bene. E’ in quel limbo di assurdità in fondo che galleggiamo.

Ci aveva abituati a questo genere il regista svedese Ruben Ostlund con “Forza maggiore, “The square”, ” “Triangle of sadness” in cui grottesco e dramma si mescolano, arrivando diretto al punto e nello stomaco (probabile che i registi nord europei siano maestri in questa lettura fredda, cinica ma alquanto calzante del modo di vivere odierno, perchè venendo educati al contrario di quella ricerca di visibilità, sanno mantenere uno sguardo critico)

Gorgli crea un crescendo di situazioni che vediamo tutti i giorni in misura magari minore, delineando dinamiche e disagi in modo perfetto, come seguisse una definizione da DSM V.

QUANDO IL DISTURBO DIVIENE IL NUCLEO DELLA PERSONALITA’. La storia è uno spaccato della vita di coppia in cui i due giovani protagonisti, sono entrambi affetti da narcisismo. Accade a loro come accade spesso nelle coppie che soffrono di disturbi di personalità in cui il bisogno di attenzione ne è una parte, che si inneschi una competizione, generando un escalation del loro problema.

Il disturbo di lei soprattutto è il centro del film, disturbo con cui riesce a rapire almeno in parte, l’attenzione di lui e del mondo circostante, in modo crescente e sempre più distruttivo. Ho visto spesso persone non solo vittime di questo schema, ma anche le altre vittime, quelle che vengono affascinate dal problema-personalità disturbata dell’altro, come nel caso di anoressia, narcisismo o disturbo borderline. In certi casi il disturbo attrae perchè viene scambiato con un tratto di personalità misteriosa e interessante o perchè appunto si incastra e risponde all’irrisolto di ognuno. La dinamica patologica quindi si stabilizza così nella coppia diventando il trait d’union

LA MALATTIA DELLA RICERCA DI ATTENZIONE Il giovane e promettente regista disegna egregiamente una trama che racconta la ricerca spasmodica e malata di attenzione. E’ la malattia di oggi, la ricerca affamata di nutrire un Ego enorme ed insaziabile.

https://www.repubblica.it/venerdi/2023/10/19/news/sick_of_myself_film_recensione_lingiardi-418214883/

Sebbene provochi nello spettatore la voglia di voltarsi o di non crederci, alla fine si resta incollati allo schermo per capire dove va a parare l’ insana ingordigia di egocentrismo e la sua conseguente strumentalizzazione.

Sarà vero, realmente accadono queste cose? Si. Talmente tanto e talmente ovunque che non ce ne rendiamo più conto, abbiamo normalizzato la patologia. Peggio, ci sguazziamo dentro, basta gettare un occhio alla rete. Non siamo più solo difronte alla banalità del male, ma alla spettacolarizzazione dello stesso.

IL VANTAGGIO SECONDARIO DIVENTA IL DISRUBO PRIMARIO. Ora il vantaggio secondario della malattia (vantaggi inconsci che il soggetto ricava dal proprio disturbo) è sempre esistito, lo introdusse Freud un secolo fà; quello che è cambiato è la gravità e la distruttività con cui viene agito. Sentivo ieri un servizio che parlando dei reati dei minori, affermava che non è tanto il numero di questi che è aumentato, quanto l’uso della violenza e l’assenza di empatia.

Di fatto anche nel film le emozioni sono assenti (anche a questo siamo maledettamente abituati), c’è solo un terribile autocompiacimento. La condivisione sui social delle proprie efferratezze non sconvolge più nessuno, in fondo lo vediamo ogni giorno nei TG . E’ semmai ragione e godimento di un’autocelebrazione onanistica (in un momento apparentemente comico, la protagonista arriva ad eccitarsi pensando alla propria morte e alla lista di quelli che possono parteciparvi). Fatto assolutamente non raro nella realtà.

Ammettere quanto sia diffuso il fatto che qualsiasi forma o fenomeno di spettacolarizzazione è ambìto, ricorrendo a qualsiasi mezzo per ottenerlo, è visibile, tangibile, diffuso ovunque. Il vantaggio secondario così, è come se fosse divenuto primario, ha sostituito il disturbo stesso.

Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? Ci siamo abituati lentamente e progressivamente, anche con un certo soddisfacimento. Che bello apparire, essere cercati, invidiati, essere al centro del mondo!!! figli non ancora nati, figli impossibilitati di rifiutarsi, eventi buttati in piazza, ricerca del brivido. Non ci dice nulla?

L’esibizione di tutto di sè stessi è diventato comune, anche nel suo lato distruttivo, in modo così diffuso, da non leggerlo più come tale. La frequenza di uno stimolo sappiamo, qualsiasi esso sia, finisce con la ripetizione per desensibilizzare e normalizzarsi. E les jeux sont faits

LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL MALE

“UNO SCRITTORE è LEGATO IN MANIERA MALSANA ALLA SUA ANGOSCIA, AI SUOI INCUBI, NON CI SAREBBE NULLA DI PEGGIO CHE VEDERSENE GUARITO” LEILA SLIMANI

Siamo così abituati alla violenza, di immagini, di parole, di situazioni, che il nostro corpo e la nostra mente, osservano senza avere una reazione di rifiuto. Il cutting, i video di stupratori o di folli che uccidono animali, gli omicidi, persino i genocidi, non ci indignano più. Anzi basta vedere l’aumento dei film suspense o degli horror per capire che non solo non siamo saturi di orrori reali, ma ne cerchiamo ulteriormente.

Oggigiorno il corpo, grazie alla profusione di immagini sui social, viene spettacolarizzato non solo nella sua bellezza, ma anche nella sua malattia, nel suo malessere, nella sofferenza, persino nella deformità. Tutto va bene per essere protagonisti, per avere like. Il famoso giorno di gloria per un giorno di cui parlava Warhol, volendo, c’è per tutti

Assistere perciò a qualcuno che volutamente si ferisce o cerca a tutti i costi l’ospedalizzazione come nel film, appartiene alla fase storica che stiamo vivendo. Quante volte vediamo in tv l’esibizione della sofferenza, quante volte abbiamo visto persone in un pronto soccorso postare stato e dare in pasto a tutti i propri followers, la propria esperienza intima? allora perchè restare increduli davanti ad un film che traccia la stessa cosa

QUANDO E’ LA PERSONALITA’ CHE SI AMMALA Parliamo tanto di cura per l’ansia, per la depressione, senza allarmarci dovutamente davanti al tasso di disturbi di personalità così elevato, di cui questi sono solo alcuni dei suoi inevitabili sintomi. Guardiamo ai sintomi, meno alla loro fonte e il problema non è pertanto solo la crescente richiesta di interventi per l’ansia, quanto il perchè diamo per scontato che una società debba essere così ansiosa, dando per normale che una cultura debba essere così profondamente malata.

E se i disturbi di personalità sono asintomatici in una cultura sintomatologica, pensiamo anche che è nella relazione con gli altri che si verifica il punto di rottura più forte. Così come affermava Hillmann l’Ego a forza di pensare, osservare, amare solo sè, si gonfia e nel frattempo si ripiega sempre più su sè stesso, mentre il mondo fuori e le relazioni con l’altro vanno in rovina (per usare un eufemismo, quando non arriva a distruggere l’altro, perchè non tollera quella ferita).

Per molti la patologia resta la sola forma di esistere, di avere qualcosa di forte da raccontare di sè. Un modo come nel film, di essere protagonista. Uscirne richiederebbe smettere di essere presente e visibile sotto gli occhi del mondo, rischiando di toccare una paura ancora più insopportabile oggi: quella di essere mediocri o come diceva Bauman, in-visibili.

Allora meglio raccontarsi una storia e identificarsi in un ruolo anche patologico, comportarsi come tale, deresponsabilizzarsi della mancanza di azione o cercare la dis-regolazione. Restare o ancora peggio annaspare a quel limbo, che per quanto atroce, non è anonimo.

Per arrivare a questo Signe, la protagonista, ricostruisce le situazioni a seconda di come le convenga, spesso aggiungendo o togliendo informazioni, altre volte creandole dal nulla. Riscrive un copione in cui esce dall’ombra e ottiene così ciò che vuole, diventa qualcuno-

Si tratta di un vuoto di personalità nascosto dietro al problema o della semplice paura che ci possa essere questo vuoto?

.

Il DRAMMA VA DI MODA. E’ nelle sale il secondo film del regista, DREAM SCENARIO, un altro capolavoro psicologico, che partendo da una storia vera, mette in scena ulteriori aspetti della patologia della vita quotidiana. A tratti anche questa può sembrare una storia assurda, surrealista quasi, eppure nella commedia Borgli sa gettare perle di critica iperrealistica. Molto in linea con il primo film nel sottolineare le conseguenze della spettacolarizzazione, la sua sagacia questa volta narra la vita di un uomo qualunque persino noioso, che sogna di diventare qualcuno. Questo bisogno-capriccio gli provoca un rancore latente nel non esserlo e quando inaspettatamente diviene famoso per “entrare ” nei sogni di centinaia di persone, sembra che tutto si capovolga. Toccata la fama però, gli tocca scendere di nuovo, distrutto e annientato dal suo stesso personaggio e ridiventare un invisibile.

https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/la-cancel-culture-in-salsa-dark-con-il-miglior-nicolas-cage-del-ventennio-bqkxkcil

Delinea attraverso la storia, una cultura di individui che si gonfiano e si sgonfiano del loro stesso Ego. Una società malata e fragile che drammatizza ed esaspera tutto. Genitrice dell’infausta cancel culture che necessita del torbido e per farlo deve amplificare il concetto di trauma, piuttosto che contenerlo.

Un concetto a cui pensavo da mesi è quello che viene proferito dal bravissimo protagonista Nicholas Cage, quando afferma che il trauma va di moda. E’ vero . Senza tingere di problema, di dramma la propria vita, ci sembra di privarla di un ingrediente fondamentale.

Riflettevo su come la definizione di trauma sia cambiata nel tempo; se prima magari certi disagi o sofferenze non ricevano la giusta attenzione, stiamo finendo – o siamo già finiti purtroppo- per spostarci sul versante opposto. Appelli di emotivamente instabili che si accaniscono sul nulla, cancellando memorie storiche o creando rivoluzioni che nascono non da una sana indignazione, peraltro assente dove dovrebbe essere, ma da una sensibilità disturbata. I sintomi delle ferite psicologiche divengono traumi e ancora peggio quelle ferite a volte nascondono ferite narcisistiche.

Le ferite psicologiche non solo hanno lo stesso peso di un trauma nel soggetto, ma vengono trattate come un trauma, e stanno assumendo le stesse caratteristiche, con il conseguimento indebolimento delle persone; una iperattività fuori controllo, un senso di difesa totalmente decontestualizzato.

E’ come se così facendo, si fosse abbassata la finestra di tolleranza e aumentato il sentirsi leggittimato a reagire in modo esasperato. Se l’Ego ferito che è diverso dall’Io ferito e ancora più lontano da un Io che è stato abusato o violato, riceve la stessa attenzione, non solo il passo verso un micidiale misunderstanding è veloce, ma rischia di pretendere un risarcimento che lo esenta da ogni logica e responsabilità. Lo autorizza a qualsiasi reazione e ne provoca un escalation infinita. (Crepet docet)

Se un bambino che ha ricevuto poca fiducia, poco amore, poche carezze ha vissuto un trauma e non una ferita psicologica, se un brutto voto o il non essere diventati campioni di calcio quando non c’erano nemmeno le premesse, è posto sullo stesso piano, dove poniamo quello che un qualsiasi bambino che vive nella striscia di Gaza o di un bambino ucraino deportato sta esperendo? Come lo definiamo allora in termini clinici?

Rebecca Montagnino

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.