La reputazione

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Ma quante stelline valgo?

Un tempo la reputazione era la considerazione o l’attenzione benevola, sentita come la misura delle qualità o della moralità di qualcuno o di un’istituzione. Oggi è invece il culto dell’Ego, il culto dell’approvazione, dei like, dei follower, che troppe volte viene confutata con una personalità mediocramente costruita. Dimmi cosa segui e ti dirò chi sei…

L’articolo molto interessante di cui allego il link sotto, mi ha riportato su alcune riflessioni che facevo recentemente. Lì si parla ovviamente di come la rete abbia introdotto, sia attraverso i social che molte app, la funzione di approvazione/consenso. Il mercato dei consumi ormai si muove in questo senso, ma anche le persone…e figuriamoci se queste, in un’era così altamente e pericolosamente narcisista, non si siano trovate immediatamente a loro agio! La seduttività di essere apprezzati e di ottenere consenso fa man bassa laddove ci si lascia “comprare” dai like, questo bisogno patologico si nutre infatti soprattutto di quello che pensano gli altri di noi. Ma la reputazione di un tempo che aveva una connotazione prevalentemente etica, si è trasformata in una trappola, dove pur di ottenere un seguito, la personalità viene cucita ad hoc. Pur di essere personaggi pubblici– i social lo rendono- si è quindi disposti a vendere la propria privacy.

Non solo, ma la reputazione di un tempo non era un taglia/incolla di parti considerate interessanti e appetibili, era lasciata almeno fino ad un certo punto, libero giudizio degli altri. Non c’era cioè un’intenzione, per quanto lo si vorrebbe negare manipolativa, di adescare attenzione e approvazione. La facilità e la vicinanza di carpire notizie e conoscenze su chiunque non era nemmeno ipotizzabile, di conseguenza meno potente il falso sentore di conoscere realmente chiunque e di essere così vicini. Connessi ma non legati, eppure il modo in cui vivono il web molte persone, è un mondo parallelo e per loro anche più vero del reale.

Oggi, nell’era della me generation la personalità inesistente viene perciò confusa e vestita con un pret a porter dell’ identità, dove si indossa l’abito più gradito dagli altri. L’identità si frantuma in mille pezzi, perchè c’è un pezzo da mostrare a seconda di chi si ha difronte e a seconda dell’occasione. L’insieme delle tessere del puzzle è quindi solo l’insieme di quello che il fabbricatore ha ritenuto fosse più “spendibile”, esattamente come un prodotto che debba essere inserito nel mercato. Ha scelto quali tessere mettere per com-piacere, come sceglie i vestiti da mettere nel suo armadio, quali film vedere, quale musica ascoltare con l’intento di porre il suo piccolo e insicuro ego, al centro dell’attenzione e dell’approvazione altrui, creando così una reputazione perfetta per le migliori recensioni- La domanda frequente è quante stelline vale questa musica per l’opinione altrui, di quel gruppo in cui mi sento di appartenere. Hanno iniziato un tempo i ristoranti, i servizi e ora le “stelline” sono il parametro delle nostre scelte. Io sono quando ottengo consenso, quindi: Osservatemi, condividetemi, taggatemi, ma più di tutto apprezzatemi.

Il consumismo dai prodotti, è passato al consumismo e all’offerta delle parti del proprio Io e della propria vita, con tanto di esibizione che trova soddisfazione più ottiene visibilità e numero di visite; questo con mille risvolti individuali catastrofici, dal non sapere più chi si è davvero e cosa si vuole realmente. L’individuo ha abolito la sua essenza, l’ha venduta, immagazzinando esperienze che scorrono veloci come prodotti sulla cassa di un supermercato. Le identità vendute hanno reso più felice chi ha scavalcato le fasi e la fatica di diventare se stesso, pur asservendosi a mero prodotto di consumo ( e come avrebbe detto probabilmente Z. Bauman, anche di scarto poi). La reputazione è perciò la somma dei giudizi/consensi/visibilità altrui. A questo punto non è più solo un caso, che il bisogno di approvazione sia un male in forte espansione e così rapidamente dilagante.

Come afferma J.M.Twenge in “Iperconnessi” :” Questa generazione è sull’orlo della più grave emergenza di salute psicologica giovanile da decenni. In superficie però va tutto bene “

La cosa più triste è che questi “topini” impazziti, corrono persino appagati, consci del danno forse, ma appartenenti a qualcosa, non importa cosa. L’essere presenti e seguiti in rete, è già un modo per uscire dalla solitudine, in più con la sensazione di aver raggiunto un invidiabile traguardo. Perchè è esattamente questo che fa la rete, regala la sensazione che grazie alla nuova reputazione, ci si è assicurati un posto dove non esser mai più soli.

Per chiudere, sempre Bauman :” Non si tratta semplicemente di-abituarsi ad ignorare- la pressione esercitata dagli spot ma anche e forse in primo luogo -le pressioni probabilmente meno ovvie e tuttavia quasi certamente più efficaci, che sono esercitate dalle persone che ci circondano, dagli standard che queste si sforzano di mantenere e ai quali aspettano che tutti nella loro cerchia si attengano. E per ignorare, minimizzare, superare la pressione sociale ci vuole coraggio-un sacco di coraggio. Richiede nervi d’acciaio, e un carattere forte, anzi fortissimo, una tempra difficile da formare, coltivare e conservare, nel bene e nel male”

Rebecca Montagnino

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/01/16/e-tu-quante-stelline-vali/

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