Le conseguenze delle emozioni

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“Forse sedermi a questo bancone è la cosa più pericolosa che ho fatto nella mia vita” dal film LE CONSEGUENZE DELL’AMORE

Presumendo che tutti ricordiate la scena ed il film di Paolo Sorrentino e il tipo di vita che conduceva il protagonista ( Toni Servillo nelle vesti di Titta di Girolamo da broker a portavalute della mafia ), di certo sedersi ad un bancone di un bar per conoscere una donna, poteva sembrare davvero irrilevante. La pericolosità nella fattispecie non era solo per l’eventuale rischio di diventare preda per chi lo ricercava, indicava anche una metafora di quanto le conseguenze del lasciarsi andare emotivamente siano pericolose per il nostro Io.

Temere le conseguenze delle nostre emozioni è un pò temere le conseguenze della vita, perchè sono quelle in fondo che tinteggiano le sfumature della nostra esistenza: senza di quelle lo stare al mondo diverrebbe monocromatico. Eppure le abbiamo ibernate, senza pensare che ci potesse essere un giorno in cui risvegliarle dal letargo, sarebbe divenuto irreversibile.

Oggi le emozioni vengono bloccate, anestetizzate, sacrificate, rinnegate, nascoste, occultate, somatizzate. Con il presuntuoso delirio che così si vive meglio e la desolante conseguenza che forse si vive solo più aridamente. Ogni emozione che sfugge (ed è normale che sia così) alla ragione, provoca un senso di non controllo che temiamo. Meno ci ascoltiamo emotivamente, più siamo spaventati da quel mondo. E più abbassiamo il sentire, più rischiamo di venirne sopraffatti un giorno o peggio ancora, rischiamo di arrivare alla fine dei nostri giorni e di aver perso l’occasione di vivere questo viaggio. Non vi è nulla di cui esseri fieri nel non sentire, si diventa ogni giorno più indifferenti, perchè è non a caso l’emozione che determina la consapevolezza delle nostre esperienze.

“E’ necessario affrontare i rischi, perché il rischio più grande nella vita è non rischiare nulla. Chi non rischia nulla non fa nulla, non ha nulla e non è nulla. Può evitare le sofferenze e l’angoscia, ma non può imparare, sentire, cambiare, crescere, progredire, vivere o amare. È uno schiavo, incatenato dalle sue certezze o dalle sue assuefazioni. Ha rinunciato alla sua caratteristica più grande, la sua libertà individuale. Solo chi rischia è libero. Tenere nascosti voi stessi, perdere voi stessi a causa di queste idee che sconfiggono l’io significa morire. Leo Buscaglia

L’AMORE AI TEMPI DELLA PANDEMIA…

Anche per quest’ ansia di controllo e non solo per la pandemia, non solo per la mancanza di tempo, non solo per i mille motivi che seppur validi non giustificano, oggi si cerca l’amore in rete: un postalmarket di social e di app che sapientemente mostrano profili (quanto corrisponda al vero poi la descrizione che uno fa di sè stesso è un altro discorso); foto, interessi, gusti da spuntare se li abbiamo in comune, attraverso cui si può scegliere il partner che fa più al nostro caso ( come fosse la stanza su Bookìng). Diceva Bauman a tal riguardo in Amori liquidiOccorre meno tempo e fatica per creare contratti quanto per romperli”

Quando scegliamo la nostra stanza d’hotel, mettiamo una spunta sulle caratteristiche che riteniamo fondamentali, guardiamo la galleria di foto, possibilmente leggiamo le recensioni degli altri utenti (ancora questa applicazione manca nella ricerca dei partner in rete, non escludo che di quì a breve verrà inserita) e abbiamo così un’idea di cosa aspettarci all’arrivo. Così quando giunge un fatidico date, sappiamo già cosa ci attende nel piatto (o pensiamo). Se la guardiamo da una prospettiva relazionale, a me sembra invece che tale esperienza a prescindere dall’assurdità che comporta, rischia di posizionarsi tra la noia del prevedibile e la rivelazione del falso.

Fatto sta che la pratica della caccia all’appuntamento on line è diventata sempre più diffusa; si sfogliano così le foto saggiamente ritoccate stando seduti comodamente a casa, si leggono profili che vogliono essere avvincenti e ci si scambia reciprocamente un mucchio di illusioni, perchè a volte non c’è nemmeno uno scopo manipolatorio nella costruzione della propria immagine, il soggetto stesso è convinto di essere quell’immagine che crea e non conosce invece la sua vera identità. In questo gioco delle maschere, è piuttosto facile che poi segua una de-lusione e un senso di essere stati “fregati”.

Aggiungo qui di seguito un link che approfondisce il moltiplicarsi di richieste e di app relazionali durante questo ultimo anno.

https://www.lastampa.it/tecnologia/news/2021/03/17/news/il-boom-di-tinder-durante-la-pandemia-1.40034988

A cosa risponde quest’impennata? Alla noia, alla mancanza di occasioni reali, al bisogno spasmodico di stare con qualcuno o meglio come vedremo, di avere una storia o… una semplice foto di coppia da appiccicare prontamente sul proprio profilo per mostrare al mondo che : a) ho una storia, quindi sono; b) sono normale, non sono uno sfigato, c) ho qualcuno con cui andare in vacanza; d) mi sono “sistemato” (orribile verbo italiano usato per indicare qualsiasi forma di stabilità possibilmente permanente. Si sistemano così le proprie vite come mobili in una casa, come la sveglia al mattino. Forse per questo abborro il verbo e il diffuso ab-uso che se ne fa in tal senso).

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA Il paradosso è che accanto a questa smaniosa e stressante ricerca, di cui registro giornalmente il racconto dei successivi fallimenti, ciò che è evidente è una scarsa conoscenza dei propri sentimenti, emozioni, per non parlare poi della loro gestione. La quasi totalità degli incontri cosiffatti in genere finisce e finisce male, eppure sembra che non solo non si impari dall’esperienza, ma che l’unica relazione al mondo nata in rete, di cui sappiamo l’esito felice (che corrisponde all’1% dei casi di nostra conoscenza) diviene il faro: potrebbe succedere anche a me. Stesso principio per cui da noi i gratta e vinci fanno facili prede.

In questa panoplia di figure umane, la cronostoria delle diverse relazioni è piuttosto comune (talvolta persino dei profili e dei nickname davvero non originali che si danno) .

In genere contrariamente alla maggior parte delle mie colleghe, parlo pochissimo di sentimenti nel mio blog… Un pò perchè questo eccessivo spingere sul tema alla fine diventa ridonante, ma soprattutto perchè non saprei cosa dire, in quanto sempre più raramente sento persone che sono realmente prese dall’altro. Quando mi capita, quando sento che c’è un emozione di reale sorpresa, coinvolgimento, di ricerca di unicità, mi sembra di guardare un film del passato in bianco e nero. Troppo Ego, troppa ricerca di caratteristiche ad hoc, troppa voglia di perfezionismo da un lato e troppi bisogni insoddisfatti, troppa smania di trovare, troppo attenti a sè stessi, dall’altra. Come può una società narcisista in fondo provare ancora interesse per qualcosa che non sia il suo Io?

L’altro diviene il conforto che cerco dalla mia solitudine, la coperta di Linus in grado di soddisfare le mie necessità come sempre quando e come lo dico io (non a caso nel bellissimo film Her si intravede un pericoloso monito a quello che potrebbe essere il nostro partner del futuro: un software che risponde immediatamente quando lo cerchiamo, al servizio delle nostre esigenze, ci dice sempre e solo cosa vogliamo sentirci dire, abolisce il contradittorio, il senso di alterità). Questo si cerca oggi in un partner: nemmeno più affinità, specularità, un bambolotto gonfiabile che faccia quello che vogliamo.

Gli incontri sul web così non fanno che aumentare il peso della cesta delle delusioni che abbiamo accumulato nel tempo: avanti il prossimo, come fosse la pesca in un lago artificiale, certi che qualcosa prima o poi abbocca, ma CHI e con quale esito?

LA PAURA DELLE EMOZIONI. Se da un lato aumentano le richieste, dall’altro aumentano le situazioni di anaffettività. L’anaffettività non è realmente un’incapacità di amare, non c’è una lesione nel sistema limbico o un gene difettoso nel DNA, è più sovente un blocco derivato dalla paura di lasciarsi andare. Paura di essere invasi, ma anche e soprattutto di essere sopraffatti emotivamente da sè stessi, di provare sofferenza, di temere l’abbandono, il rifiuto, di accettare dei rischi, cioè paura di vivere. Se nel libro di Orwell 1984 i protagonisti erano privati delle loro emozioni da fonti esterne, oggi le persone SE NE LIBERANO spontaneamente, senza coercizione. Si sdoganano di quella parte della vita che la rende forse un pò scomoda, ma …viva.

Le emozioni oggi spaventano tutte, belle o brutte che siano, perchè destabilizzano (solo chi le teme in realtà) e perchè per molti soggetti rappresentano una variazione di tensione che provoca stress. A. Lowen, padre della bioenergetica, aveva già anticipato negli anni ’80 la “pandemia di inabilità emotiva”; il materialismo razionale stavo soppiantando l’emotività. La paura di vivere e di sentire si stava da allora diffondendo all’interno della nostra società, portando le persone a chiudersi e a chiudere ogni ponte emotivo con l’esterno. Affermava nel suo libro: “Amare non è dare, è essere aperti”

Non esiste infatti un vero spirito libero finchè non si è liberi di esperire emozioni, perchè la paura di perdersi non c’è laddove esiste un Io in grado di lasciarsi andare, ben conscio che saprà anche riprendersi, ritrovarsi se necessario. Se il nostro Io è solido, se conosce i suoi confini, non teme di aprirsi. E’ la fiducia in noi stessi che determina la capacità di fidarci degli altri. Lo spirito libero perciò non è solo una mente aperta (cosa già di suo rarissima), è libero anche di sentire, toccarsi ed essere toccato, non teme nè i suoi sentimenti, nè le emozioni dell’altro.

Ho conosciuto persone che facevano tutti gli sport estremi, che avevano sconvolto la loro vita, a dimostrazione di un coraggio enorme: poi però conoscendole bene, ho spesso scoperto quanto fossero intimorite dai sentimenti. Come dice Titta nel film, accettare la sfida delle emozioni, è la cosa più pericolosa che possiamo fare. Pericolosa solo e finchè o non siamo consapevoli e in contatto con la nostra parte emotiva.

Solo chi si fida di sè può amare, perchè sa di non potersi perdere.

AMARE PRIMA SE STESSI. “Siamo tutti egoisti. Sempre. Inoltre ciò che non è affatto un male. Anche quando benefico il mio prossimo senza attendermi nulla in cambio, accade perchè voglio sentirmi meglio con me stesso, per stare a posto con la coscienza, perciò è un atto egoistico. L’egoismo è qualcosa di straordinario, se tutti ci amassimo di più e riconoscessimo negli altri ciò che ci piace in noi stessi, ameremmo anche gli altri molto di più e disinteressatamente . L’amore stesso diventa una prigione in cui intrappoliamo il nostro amante quando è basato su un nostro bisogno d’affetto e non su una profonda stima dell’altro. Concordo si tratti di modi di relazionarsi che possono assomigliarsi in superficie, magari visti dall’esterno, ma sostanzialmente differiscono. L’intera questione affonda le radici in secoli di moralismo bigotto che hanno instillato nell’inconscio collettivo italico valori negativi quali la sopportazione e la rassegnazione difronte ai soprusi, un approccio all’esistenza sostanzialmente passivo. Tutto perchè vivremmo nel mondo delle apparenze, transeunte, mentre quello vero, eterno ci apparirà in tutto il suo splendore, abbagliante o incandescente alla fine della vita, dove la nostra capacità di verifica non giunge ovviamente. In barba all’automiglioramento, la cura di noi stessi e l’amor proprio, soprattutto. Io mi amo, chi mi odia solo per questo motivo detesta la sua impotenza d’amor proprio, in realtà” (Infernorama, Fabio Giagnoni)

LA STORIA O LA PERSONA? Sempre un film mi ha fatto riflettere ultimamente, il bellissimo Laurence Anyway, di Xavier Dolan: cosa conta di più nella notsra ricerca d’amore? La persona o la storia, perchè se cerchiamo la storia, qualsiasi persona potrebbe adattarsi al nostro copione o peggio, cercheremo di incastrare chiunque nella storia che vogliamo. In questo caso facciamo un cast, creiamo personaggi per i nostri romanzi emotivi. Non amiamo in tal modo l’altro, amiamo quello che di noi proiettiamo sul o nell’altro; amiamo l’altro unicamente affinchè soddisfi i nostri bisogni.

Ho sempre tenuto a mente questa frase di Carl Rogers, tratta da “Un modo di essere” : Le persone sono altrettanto meravigliose quanto i tramonti se le lascio essere ciò che sono. Quando osservo un tramonto non mi capita di dire – addolcire un pò l’arancione sull’angolo destro, mettere un pò di rosso porpora alla base, e usare tinte più rosa per il colore delle nuvole- Non lo faccio. Non tento di controllare un tramonto. Ammiro con soggezione il suo dispiegarsi

Amare vuol dire riconoscere l’unicità dell’altro; non sono smart phone le persone, non sono sostituibili, sono occasioni imperdibili. Anche perchè se fossero così intercambiabili, sarebbe ammettere che non sono implicitamente importanti.

“Forse non siamo capaci di amare proprio perchè desideriamo unicamente essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa dall’altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza” M.Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere

Forse dovremo reimparare le emozioni, capire che il vero rischio non è provarle, quanto arrivare un giorno guardandoci indietro e accorgerci di non averle vissute e quindi di non aver vissuto davvero.

Rebecca Montagnino

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