LA GRANDE IPOCRISIA DELLE CHAT

Le chat hanno rivoluzionato il nostro modo di comunicare, attraverso un uso più informale del linguaggio e attraverso un dispositivo sempre vicino, velocizzando tempi e abbreviando le distanze. Hanno modificato il nostro modo di interagire e scambiare informazioni, ma quello che inizialmente era un accessorio comunicativo è diventato La Comunicazione stessa.
Accanto alle abbreviazioni che hanno scostumato la sintassi e la grammatica con la scusa di essere più veloci, nemmeno le conseguenze fisiche sono tali da allertarci e nel giro di vent’anni abbiamo perso gradi alla vista, aggiunto ingobbimento delle spalle, diventati affetti da deficit di attenzione, delegato i nostri neuroni alla comodità tecnologica, per non parlare di quanto delegheremo all’intelligenza artificiale. Circa il 67% delle persone adoperano regolarmente le chat per mantenere le relazioni ed afferma di sentirsi più spinto alla sincerità trincerato dietro lo schermo. Ma oltre a queste trasformazioni ce ne sono altre ben più nocive e meno visibili nel nostro modo di relazionarci.
L’IMPOVERIMENTO Sono cosciente di star per scrivere qualcosa di molto impopolare, perchè dire che oggi che le chat sono un Male, è come dire che lo è la Nutella. Non ho mai amato, nè lo amo ora, usare whatsapp, mi sono adeguata a qualcosa che ho sempre sentito falso, ho sempre ritenuto irrispettoso scrivere cose intime, serie, gravi, su una chat. Eppure ci si lascia sulle chat, si sparisce dalla vita degli altri senza lasciare tracce, si fa gosthing, si insulta, si fa pace, si mettono faccine e cuoricini senza mettere la faccia. Sentivo che l’introduzione di questo strumento, avrebbe impoverito i rapporti umani, facendo recedere la responsabilità di esserci davvero, concretamente, cosa che un legame richiede. Sentivo che quella perdita di tempo tra il cancellare, modificare, avrebbe con il tempo ridotto la profondità delle relazioni in pure comparsate di scena.

In due decadi il nostro modo di comunicare è cambiato drasticamente e anche i meno entusiasti, hanno aderito alla fine a ciò che è più facile fare: scrivere invece di parlare. Mandare segni invece di esprimere emozioni, mandare foto per dire qualsiasi cosa. A volte mi sconvolge vedere che le immagini sostituiscono le parole, manco fossimo analfabeti; si talvolta è qualcosa per quella persona nello specifico e può quindi essere un dono, ma spesso è un modo che si sostituisce a ciò che non siamo più abili a dire, finendo ad essere più che un dono di sè, l’ennesimo tentacolo del Sè.
L’IPOCRISIA Perchè scrivere una frase è più facile che dirla, figuriamoci poi di assecondarla con un comportamento reale. Accade quindi che nel mondo virtuale delle chat continuiamo a mantenere rapporti, mentendo anche a noi stessi, nella falsità di stringere legami autentici. O meglio abbiamo perso l’uso della capacità di comprendere la differenza tra reale e virtuale; questo modo di entrare ed uscire nella vita degli altri, senza farsi troppe domande, è diventato normale, senza ammettere che nella vita reale se dovessimo citofonare invece di scrivere, già cambierebbe molto la prospettiva.
Ipocrita è diventato perciò il manifesatre interesse e credere di esprimerlo, attraverso un disegnino, un gift, una foto, cosa a cui mi adeguo anche io e per quanto ci metto cuore nelle chat, non toglie la nausea di fare qualcosa a cui sono contraria. Siamo persino convinti che questa scorciatoia relazionale sia una manifestazione di interesse, affetto o anche attenzione. Ci siamo impoveriti umanamente al punto di credere che è il montare delle persone che ci cercano e non il modo intelligente, cercato, sensibile con cui lo fanno, segno di connessione.
E’ ipocrita il modo in cui lo si fa quanto è ipocrita il modo in cui si ricevono questi comportamenti. Non è vero che ci sentiamo via chat: da quando non udiamo la voce di quella persona? Non è vero che siamo nella vita degli altri, non è vero che gli altri sono nella nostra vita, sono solo fugaci modi passeggeri di restare tra i contatti, perchè quelle persone non le vediamo, non le ascoltiamo, non facciamo magari nulla di significativo insieme, se non mandare dei messaggi che come in una bottiglia, arrivano in momenti delle rispettive vite che non conosciamo, azzardando commenti su situazioni che non viviamo, sono parole di circostanza o emozioni di burro.
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO Se sommassimo il tempo di dibattere sulle chat forse ci scapperebbe anche una passeggiata con qualcuno o il tempo di un caffè, dove di sicuro l’essere vis a vis ci impedirebbe di essere così superficiali, addirittura ne proveremmo vergogna. Ma la vergogna come l’impegno personale sono deceduti al tempo delle chat, facendoci scambiare quella facilità relazionale con relazioni vere. Annebbiandoci la vista sul fatto che in realtà è così logico e lampante che il tempo che passiamo a rispondere, cancellare o modificare, litigare sulle chat si ridurrebbe o annullerebbe, se parlassimo a voce.
Oggi dobbiamo chiedere il permesso se dobbiamo fare una telefonata, manco parlassimo con il presidente del consiglio. Allora se siamo così indaffarati davvero è meglio delegare ad un oggetto le nostre parole o tenere sospesa quella persona tra i contatti? ha senso al di là che fa numero e che accresce l’ipocrita massa di auguri informi ed anonimi durante le feste, non chiederci cosa e come vogliamo un rapporto? o è ormai solo frutto di una convenzione di mutua intesa, che i sentimenti nelle relazioni devono essere espressi con degli emoji, dimentichi che dai geroglifici anche gli egiziani si sono evoluti.
I GEROGLIFICI

Il linguaggio si è involuto, abbreviando parole, concetti, sentimenti. Sempre piegati a rispondere, a dire che ci sono quindi esisto, assorditi dalle suonerie che invadono le orecchie degli altri, a mandare foto che vengono viste sbrigativamente, foto che dicono ciò che noi pensiamo che dicano, prendendo spazio con la nostra presenza, testimoniando ferite, cicatrici fisiche e morali, oscenità che verranno condivise senza riflettere. O giustificando ritardi, facilitati nel ritardare o annullare appuntamenti, le chat hanno accresciuto il pregio della deresponsabilizzazione.
O peggio per “risparmiare” tempo lasciamo degli audio interminabili di cui recepiamo la metà delle cose dette, monologhi per cui esiste anche la funzione di velocizzarne l’ascolto, così da non farci perdere tempo E’ implicita quindi la nozione stessa di quanto siano ( e dunque siamo) una perdita di tempo; possiamo sproloquiare interi minuti aggiungendo dettagli al nostro Ego che è gia abbastanza grande così: in fondo whatsapp stessa definisce e giustifica con tale funzione, che spesso è lungaggine gratuita
Esibiamo in tal modo una vena teatrale che non sapevamo nemmeno di possedere. Dove tutto è drammatizzato e ingigantito, tranne la relazione reale con l’altro, che si riduce ad uno scambio così impoverito che persino i primitivi ne resterebbero sconvolti.
COSA RESTA DEL CONTATTO REALE Dialogare (conversare con) è oggi un’impresa per pochi, richiede ascolto, comprensione, scambio, linguaggio non verbale, commenti se necessari…Abitiamo la stessa casa e ci mandiamo messaggi per dire cose che fisicamente ci risultano diffcili o per esprimere emozioni che ci fanno sentire (magari anche come conseguenza), inadeguati.
Persino la comunicazione vis a vis risente dell’incapacità di questo scambio ormai, non siamo più in grado di dialogare, parliamo del nulla, abbiamo inabilità di espressione di ciò che pensiamo e sentiamo (per ciò che rimane del pensiero e delle emozioni..)
Inetti di comunicazione e abbagliati di perfezionismo, ci sentiamo spinti a dover dire la cosa intelligente, interessante, originale e non banale, perdendo tre quarti di ascolto di quello che l’altro diceva o a restare in un silenzio senza ulteriori parole, imbarazzato e imbarazzante.
IL CONTROLLO Le chat ci danno l’illusione di presenza, essere cercati equivale ad essere considerati persino amati, in realtà hanno portato ad aumentare il bisogno di controllo dell’altro (dove sei, che fai, geolocalizzati, manda foto, perchè non hai risposto), asfissiandoci di approvazione, immobilizzandoci nell’ansia, proliferando nello stulcking, confondendoci su quello che è affetto reale e reale altruismo.
Siamo tutti partecipi di ciò che accade, ma non facciamo di concreto niente, empatizziamo o crediamo di.. attraverso uno schermo, comodamente sdraiati su un divano. Restiamo paralizzati in rapporti estinti, malati di malinconia e facili nel cadere nell’ossessione, a volte mi domando in quale percentuale le relazioni tossiche vengano mantenute grazie alla facilità di accesso alla rete.
LA PARTECIPAZIONE Spendiamo tempo prezioso della nostra vita, cioè lo buttiamo mascherati di affetto, mentre siamo rei di buonismo spicciolo, in fondo in fondo anche un pò coscienti di esserci intrappolati in una sordida incapacità reale di umanità, invischiati nell’ipocrisia che che le chat permettono, quel finto interesse scambiato per enorme bontà e partecipazione.
Eppure prima o dopo consapevoli o meno della falsità delle chat, ci siamo caduti tutti dentro e non vedo come uscirne, considerando che la comunicazione come la relazione è basata almeno su due persone. Se smette uno serve a poco, ma se tutti la usassimo con maggiore consapevolezza, potremmo contribuire e frenare il progressivo decadimento umano.
Un ritorno ad un’umanità connessa con i fatti e non con gli emoji forse richiede questo e forse ora come non mai. Non siamo solidali o belle persone solo perchè postiamo foto di Gaza, scriviamo due righe a qualcuno, ma lo siamo e lo saremo ancora come specie, forse, se ricominciamo ad usare le parole vere, gli sguardi, i gesti, la voce per dire ciò che pensiamo e sentiamo. Mettendoci anche azione e faccia ..e non faccine!
“Credo che ognuno di noi, debba esser giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni, non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili.” Giovanni Falcone
Rebecca Montagnino

Commenti recenti