IL DEBITO FAMIGLIARE

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Riusciamo sempre a capire quando facciamo qualcosa per piacere da quando lo facciamo perchè altrimenti ci sentiremmo in colpa? Quando agiamo specie nelle relazioni famigliari, la distinzione tra il verso e il via da (i due metaprogrammi secondo la Pnl che indicano cosa ci muove e ci motiva), a volte è confusa..

GRATITUDINE O SENSO DI COLPA? Il senso di gratitudine è un sentimento primario nell’ambito famigliare, sappiamo come essere riconoscenti per quello che si ha, sia un modo per il bambino per uscire dal suo Ego e sentire il piacere di ri-dare all’altro. La gratitudine conseguente alle attenzioni ricevute, è uno stato emotivo necessario nei legami ed è molto importante che venga insegnato ai bambini sin da piccoli, in quanto permette loro di comprendere il valore delle cose e dell’affetto, del tempo speso e investito per la loro cura. Se ogni cosa la ricevono troppo in fretta, troppo in generale, come un qualcosa di dovuto e gratuito, il rischio è che non imparino a valorizzare e vedano il mondo come un riflesso su cui proiettare i loro bisogni.

Allo stesso tempo esiste un altro rischio che di fatto si concretizza spesso, è che quel dono venga “rinfacciato”, richiedendo una sorta di compensazione per il lavoro fatto, o venga fatto notare ai figli, che la loro vita appartiene a quella dei genitori; che debbano perciò risarcire non solo affettivamente o nelle cure, ma anche rispondendo al modello di persona che papà e mamma desiderano che siano. Questa sorta di ricatti è ben descritto nel libro “Debellare il senso di colpa ” di Lucio Della Seta.

Le odierne dinamiche familiari son diverse da quelle di qualche decade fà, in quanto la gratitudine non proviene solo da basi affettive, ma anche da aspetti meno “sani”, generando una serie di doverizzazioni, nonchè condizionamenti, che portano a profondi sensi di colpa. Ho deciso proprio per questo di condividere l’articolo sul blog, conscia che l’argomento sia per certi versi un taboo, ma consapevole allo stesso tempo di quanto sia importante dar voce a quelle riflessioni anche scomode, che generalmente vengono taciute.

LA GESTIONE DELLA LIBERTA’.

Leggendo l’articolo due sono i punti salienti: l’origine del problema e le sue conseguenze. Mentre un tempo la famiglia aveva delle regole ben definite, persino eccessivamente rigide in cui i ruoli erano estremamente categorici, gli spazi di azione ristretti, le concessioni di libertà molto più moderate, nel giro di qualche decade, si è passati al suo opposto. La libertà concessa ai figli in quanto a uscite, orari, permessi di dormire fuori o di portare fidanzate a casa, è cambiato radicalmente. Con i suoi pro e i suoi contro.

I pro sono che di sicuro oggi c’è meno rigidità e il bambino viene valorizzato e considerato maggiormente nei suoi bisogni, così come viene anche seguito di più psicologicamente. I contro sono che questi fattori positivi sono stati spinti all’eccesso e i ruoli meno definiti e spesso liquidi, addirittura più osmotici e simbiotici, come se i genitori cercassero l’approvazione, l’amicizia (simbolico infatti è il chiedergliela sui social) più che svolgere la faticosa parte dell’educatore.

Non solo prima c’era meno permissività, ma c’era anche una conquista più lenta e progressiva di tali benefici. Basta pensare che oggi “chiedere” non si usa più, si pretende o si agisce direttamente, come un diritto acquisito dalla nascita.

IO D0′, TU MI APPARTIENI Diversa era anche l’elargizione di aiuti economici e di regali, era dosata, contenuta, stabilita per le feste comandate. Oggi anche famiglie meno abbienti si prodigano per dare ai figli “tutto”, tutto ciò che non hanno potuto avere durante la loro infanzia, colmando le loro passate insoddisfazioni attraverso il dono no limit ai figli, i quali vengono soddisfatti di qualsiasi desiderio senza nemmeno averlo chiesto ancora. Danno nonostante le disobbedienze, le risposte dir poco irreverenti, talvolta anche dopo maltrattamenti fisici, non sanno porre un limite o dire basta. Danno sempre l’insieme di cose ed esperienze che serve a definire un tenore di vita “normale” in una società consumista: viaggi, corsi di qualsiasi cosa immaginabile e non, feste da vip, diciottesimi, lauree brevi e lauree magistrali, in uscite continue, vestiti firmati, università private con master annessi, vacanze costose, regali per chiunque faccia parte della loro cerchia.

Questa situazione nel tempo crea nei figli un aspettativa che la vita sia un insieme di doni provenienti dal cielo, non insegna loro a conquistare, nè a costruire, nè a impegnarsi/faticare, non si sviluppa l’ autostima e si fabbrica l’illusione che il valore supremo nella vita sia la comodità. Quando poi si sveglieranno dal paese delle fate, dovranno fare i conti con una cruda realtà, non avranno le armi per affrontare la vita, saranno facilmente scoraggiati e soprattutto vivranno in debito con le loro famiglie. Non di gratitudine, ma di senso di colpa.

I SOLDI NON FANNO SOLO LA FELICITA’, MA GESTISCONO ANCHE LA NOSTRA AUTONOMIA. Se si dice infatti che i soldi fanno la libertà, in questo caso non si vede una dinamica piuttosto subdola e pertanto pericolosa all’interno delle dinamiche famigliari. Se qualcuno paga tutto, si prova automaticamente un senso di riconoscenza che sfocia nel “debito emotivo”; si accetta e si trova normale essere gestiti in qualsiasi aspetto, si trova naturale subire delle ingerenze continue e folli nella vita anche adulta, ma così si abdiga ai bisogni di autonomia. I genitori viene consentito dunque di entrare nel telefono, nel bagno, nella vita sessuale, perchè si è creato un rapporto di amicizia o di controllo che viene vissuto come fisiologico o perchè si accetta la loro gestione in cambio di tante belle comodità. A qualsiasi età, perchè siccome hanno dato e fatto tanto, è normale non avere spazi personali, barriere. Ci si lascia gestire, ci si lascia comprare, perchè la comodità di ricevere senza fatica, rende prima ovattati, poi succubi.

Si vende in tal modo la propria vita per una libertà condizionata. Quando guardiamo perciò alle intrusioni citate nell’articolo, capiamo che l’origine viene dall’acquisito agio economico: il motto è: io pago, io posseggo. La risposta è la resa, un grande, gigantesco like . Ma tutto questo non avviene unicamente per i soldi…

TU SEI TUTTO PER ME.

Quale sentimento provate se per qualcuno siete tutto? Vi lusinga, vi fa sentire egocentrati, appaga il bisogno di appartenenza, ma poi quello di responsabilità, ed infine quello di essere delle “proprietà”. Ricordo di aver fatto notare ad una mamma che parlava dei figli quasi maggiorenni apostrofandoli con “a mamma” (mangia a mamma, dillo a mamma, fallo a mamma, dove “a” sta “per”), di quanto questo modo di dire fosse irto di insidie, ansie, ricatti, forme di manipolazione.

I bambini ad esempio in questo caso, crescono mangiando per fare un piacere (e quindi anche un dispetto??) ai genitori o per compensare quelli che non hanno cibo, mai per sè stessi. Il concetto di gusto o piacere viene depersonalizzato e sostituito da un senso di colpa. E così vale per ogni azione, arrivando al fatto di sentire di essere l’unico centro di felicità del genitore, che è qualcosa di asfissiante. I genitori dovrebbero avere una vita, delle passioni sia per trasmetterle ai figli, sia per dar loro respiro e non fagocitarli nelle proprie irrisolutezze. Non c’è niente di peggio a livello psicologico che sentire che qualcuno vive per noi; magari che contribuiamo in grande parte a farlo star bene si è bello, ma in caso diventiamo l’unico bene, ci sentiamo in colpa se viviamo altro. Questo senso sacrificale di amore è la prima enorme trappola per il bisogno di approvazione, lo sfaldamento dei sentimenti sinceri e autentici che ci fa stare vicini al prossimo perchè ci va e non per tutta una serie di colpevolizzazioni che rendono le relazioni piene di non detti e di ipocrisie. Si vuole a questo punto un figlio o un burattino?

Quante volte anche il semplice sentire al telefono quotidianamente i genitori è un dovere: alla stessa ora, dicendo le stesse cose, non è più a quel punto un piacere quanto un’abitudine che nasce per sfuggire dal disagio di sentirsi, in caso contrario, cattivi figli e quindi pieni di sensi di colpa.

Volere il bene ricorda dei figli ricorda Gibran, è volere che siano liberi di avere la loro vita, liberi dal dover restituire, liberi di essere ciò che sono anche quando non concorda con le idee e le aspettative dei genitori.

Rebecca Montagnino

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Una risposta

  1. Rolande ha detto:

    È un discorso molto profondo che fa riflettere tante famiglie

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