Protect me from what I want

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Non esiste dipendenza da cui non dobbiamo proteggerci e dobbiamo imparare a farlo noi. Fa parte della vita, della responsabilità verso la nostra vita e verso il nostro benessere. Dobbiamo proteggerci comunque da ogni forma di dipendenza, per quanto alcune presentano effetti più visibili e nocivi e più facilmente riconoscibili quindi come dannose. La dipendenza dalle droghe, dall’alcol; queste vengono persino condannate dalla legge e in genere le curiamo. Altre come quelle dai telefoni sono diventate invece più normalizzate, in quanto talmente diffuse da sembrare che facciano parte della nostra vita da sempre. Ce ne sono alcune invece più subdole che non creano apparenti danni alla salute e che magari fanno comodo a chi ci sta intorno, tanto che nessuno le definisce tali. Eppure provocano disagi enormi e la loro conseguenza ricade anche sulle spese della salute pubblica. Chi si preoccupa degli effetti di essere troppo gentili, pazienti, accondiscendenti?

LA DIPENDENZA E IL PIACERE. Ogni dipendenza dà un falso senso di benessere, ogni atto compulsivo va a placare e calmare qualcosa. Ogni anelito a soddisfare quell’impulso genera un senso di piacere.

Anche la dipendenza affettiva. Anche quell’innato e incontrollabile bisogno di essere sempre gentile, generoso, accogliente e disponibile aggrada; questo pure quando supera l’ascolto di un nostro bisogno, quando non ci permette di mettere dei sani confini con gli altri. Ecco che quel bene diviene patologico, al contempo un’abitudine che nessuno o quasi attorno, potrebbe indicarci come malsana e pertanto portarci a proteggercene. Eppure con il tempo questa condotta può portare a problemi psicologici e a problemi di salute gravi. Che ci piaccia o no. Che piaccia agli altri intorno o no.

Tendiamo a trovare sempre giustificazioni esterne, scappatoie che rendono normale e comprensibile il nostro comportamento. A volte la verità è che sono divenuti atti automatici o che non agirli ci provoca un tale malessere o senso di colpa che non osiamo pensare di non farlo

Se per alcune dipendenze l’effetto negativo è visibile, moralmente riprovevole, pensiamo al fumo o alle droghe, lo sport ad esempio viene classificato con più difficoltà come condotta disturbata nel momento in cui allenarsi diventa eccessivo e irrefrenabile. Come può essere riconosciuto dunque tale un atteggiamento amorevole verso il prossimo e quanti tra i prossimi sono in grado di metterci in guardia e dire no, pensa a te?

A questo proposito varrebbe la pena, estendere la premessa del libro “Donne che amano troppo” a qualsiasi forma di amore. Perchè la differenza sta li: quando l’amore per gli altri supera il bene e il rispetto verso sè stessi, è un amore malato. Non accade solo nei rapporti di coppia, lì è solo maggiormente concentrata la rappresentazione, spesso coloro che non sanno astenersi dal mettere gli altri prima di sè stessi, manifestano questo problema con chiunque.

QUANDO IL CORPO DICE NO. Per spiegare questo concetto ho scelto il video del dottor Gabor Matè. Illustre neuroscienziato conosciuto per il suo lavoro con il trattamento dei traumi e le sostanze psichedeliche e per il suo famoso libro “Quando il corpo dice no” di cui consiglio a tutti la lettura. Oltre alla sua competenza accademica, ha una straordinaria capacità umana, mettendo la sua esperienza personale al servizio della scienza, con un coinvolgimento appassionato così raro oggi. Il video è in inglese e il sottottotilato anche, ma sono certa che arriverà comunque chiaro il messaggio che contiene .

Matè mette in rapporto le prime esperienze del bambino con la sua personalità adulta, mostrando come ogni bambino è scisso tra due bisogni: quello di appartenenza e quella di creare la propria personalità. Spesso il bambino pur di essere amato impara a bloccare i suoi bisogni, per lui diviene normale, non ascoltare il suo corpo e le sue emozioni e prodigarsi per gli altri. Da adulto questo schema è diventato il carattere dell’individuo che agisce sotto questo impulso ormai come parte del suo sè. Questo malfunzionamento è alla base di numerose patologie come alla base di molti problemi della personalità. Per uscirne occorre consapevolizzarlo e comprendere a fondo i danni che ne derivano, come le conseguenze anche gravi nel tempo, non solo sugli schemi di adattamento psicologici che vengono fraintesi con il vero sè, ma anche riguardo l’insorgenza di numerose malattie.

Nel libro sopracitato e in molti studi della neuroscienza si mette in luce attraverso ls storie di vita dei pazienti, che spesso ammalarsi diviene per l’individuo l’unico modo per riappropriarsi della sua salute o della sua vita. Laddove la psiche viene ignorata, infatti non resta che al corpo farsi sentire. Ho sempre trovato la connessione tra mente e corpo qualcosa di illuminante, la via maestra per prenderci cura di noi, ma mi accorgo come questo concetto stenta ancora ad infiltrarsi nelle mentalità delle persone. Pur essendo un tema sacro sin dall’antichità per filosofi come Socrate o Platone, ancora rimane poco compreso e interiorizzato. Addirittura pensiamo che gli antichi greci edificavano gli ospedali vicino ai teatri, perchè la salute dello spirito era accanto a quella del corpo.

La scienza continua a proclamare la connessione; una parte della medicina si integra con la teoria polivagale per l’insorgenza dei traumi, la Pnei e le neuroscienze in primis evidenziano l’unità delle due parti. Le difese immunitarie seguono quelle psicologiche e viceversa, una contrazione muscolare è spesso collegata ad una contrattura nella sfera psicologica come già i padri della psicologia corporea, (W.Reich e A.Lowen) avevano affermato. Probabilmente un’educazione alla nostra salute psicofisica richiede un impegno che una società innamorata della non fatica ma della comodità, del non dolore e della ricerca incessante del piacere , invece rifiuta di riconoscere.

Ci ammaliamo così quando non siamo stati attenti a qualcosa che non andava, quando non lo abbiamo cambiato, quando non ci siamo dati amore, non abbiamo ascoltato le nostre emozioni e i nostri bisogni, ma abbiamo soddisfatto l’altro, privandoci della nostra dignità e persona. Quando non abbiamo messo confini che per quanto non ci siano stati insegnati, sapevamo che dovevano essere messi in seguito. La ritrosia ad essere sè stessi, il terrore della perdita degli altri, sono qualcosa di così tanto nocivo da ledere la nostra salute. Quasi tuti coloro che si ammalano di gravi malattie o di malattie irreversibili, tendono a dire se tornassi indietro. Noi possiamo cambiare oggi quel momento, proteggendoci come proteggeremo un bambino.

SE ESISTE IL BISOGNO DI DIPENDENZA NON ESISTE L’ASSERTIVITA’- Bisogna sapersi staccare da qualcosa che oggi è un meccanismo onnipresente e potente avvinghiato al collo di molti noi, l’approvazione, e con lui la necessità di condivisione e il terrore della solitudine. Proprio in questi giorni facevo un corso sui legami post covid (ma credo anche precovid) e molti dei docenti evidenziavano come l’individuo di oggi, da un lato soffra la solitudine e dall’altra, per conseguenza e paradossalmente, la dipendenza affettiva.

Finchè sussiste l’incapacità di prendersi cura di sè, ma subentra quello compulsivo di pensare agli altri, la persona non sa badare alal sua sicurezza, manca di assertività e di responsabilità. Che sia per dovere o per paura dell’isolamento bisogna re- imparare a proteggerci da ogni cosa che ci danneggia, compreso l’amore e la gentilezza eccessiva

. Nessuno è nato per soddisfare l’altro e basta, se non si riesce e non si prova piacere nel soddisfare sè stessi mai, si ha un problema serio. Non c’è niente di sano e bello nel sacrificare la nostra vita agli altri, è un retaggio religioso martirizzante che persiste ancora , mentre forse dovremmo imparare ad onorare noi stessi e la nostra vita, in un giusto equilibrio con gli altri . Chi impara a rispettarsi fa del rispetto un valore inviolabile ed è pertanto più propenso a metterlo a disposizione del prossimo.

E solo con il ritrovare uno spazio sacro per sè stessi, in cui pian piano delimitare lo spazio altrui, imparare l’assertività e l’ascolto delle proprie emozioni, ritrovare il rispetto dei bisogni, che coloro danno troppo possono imparare a vivere meglio o semplicemente a vivere, perdendo l’abitudine a rispondere a quegli schemi che li fanno schiavi dell’altro e ad imparare a proteggere finalmente la preziosità dell’essere.

Rebecca Montangino

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