IMPARARE AD IMPARARE
E’ un pò come dire riabilitare o rigenerare abilità basilari che abbiamo dismesso e quindi perso. Per quanto mi allibisce ammetterlo, una delle funzioni della psicologia oggi è rieducare su come si respira, su come si mangia, soprattutto e in primis su come si provano emozioni. Quando la settimana scorsa mi sono imbattuta in un articolo (trovate i link qui sotto), che parlava dell’introduzione sperimentale dell’intelligenza emotiva nelle scuole e terminava con la frase scelta come titolo di questo post, l’ho trovata così semplice quanto disarmante, in quanto riflette in pieno la nostra condizione attuale.
Se gli adulti di oggi devono reimparare queste basi, cominciare dall’infanzia potrebbe evitare un domani ai bambini di ritrovarsi nella stessa o ancora peggiore situazione. Per far si che una pianta non cresca storta, occorre aiutarla a stare dritta sin dalla sua nascita in qualche modo.
IL DISORIENTAMENTO.
“La scuola italiana istruisce, ma non educa. L’istruzione è la trasmissione di contenuti culturali e scientifici, l’educazione prevede che si prenda cura della specificità dell’intelligenza dei singoli studenti e della loro condizione emotiva” U.Galimberti, Il Libro delle emozioni
I bambini oltre ad imparare le materie varie, hanno bisogno più che mai di imparare ad imparare dalla vita innanzitutto. Troppi genitori sono pronti a dar loro il proprio libretto di istruzioni, che è appunto il loro, non permettendo ai figli di costruire elaborazioni partendo dall’esperienza personale; in realtà così facendo, eludono solo ostacoli che non li fanno sviluppare. Inoltre i ragazzi crescono pensando che la soluzione dei problemi si risolva premendo un tasto, come afferma Galimberti.
Quello a cui assistiamo oggi è che molti adulti palesano grandi difficoltà nella comprensione del mondo intorno a loro; lo guardano cercando qualcuno che li fornisca un manuale di istruzione per decifrarlo o una mappa di orientamento che magari alla fine concluda facilmente e felicemente con le indicazioni su come vivere. Cosa devo fare e come faccio a capire, sono due tra le domande più ricorrenti in terapia, tanto da aver trasformato il nostro ruolo in una sorta di maternage che dia le basi educative mancate a suo tempo. Queste due domande implicano purtroppo: a) la mancanza di consapevolezza del proprio problema e b) la ricerca di una soluzione esterna (deresponsabilizzante) facile e rapida.
Al di là dell’ineluttabile fatto che viviamo in un momento storico realmente complesso e caotico, ciò che manca è una bussola interna sufficientemente forte, solida e autonoma. Questo disorientamento porta di conseguenza alla ricerca di una guida esterna, fatto che potrebbe rivelarsi pericoloso in quanto porterebbe a seguire situazioni o appigli senza spirito critico, favorendo invece una sottomessa dipendenza psicologica.
Non è un caso che proliferano dipendenze di ogni tipo e aumentino in primis quelle relazionali, così come ricerche disperate di fonti da cui ricevere verità assolute, vedi l’esempio degli influencer.
IMPARARE DALL’ESPERIENZA.
“Credo che il grande errore nelle scuole sia di insegnare ia bambini un pò di tutto e di usare la paura come arma motivazionale. Paura di essere bocciati, paura di non restare con la tua classe. L’interesse invece può produrre conoscenza che in proporzione alla paura è una esplosione nucleare rispetto ad un petardo”. Stanley Kubrick
L’intelligenza emotiva non è solo essere capaci di capire cosa si sente e cosa sentono gli altri, è una delle intelligenze (ricordiamo il concetto di intelligenze multiple introdotto da H.Gardner) che fanno parte e sono una base della vita in generale, co-presente in qualsiasi cosa facciamo, qualsiasi scelta prendiamo. Crescere senza questo contatto condanna a diversi problemi, fisici, psicologi, relazionali. L’alienazione della società odierna dipende in gran parte dalla perdita del contatto con sè stessi, prima ancora che con il mondo. Si vivono esperienze senza averne consapevolezza, accumulando solo vuoto. I bambini crescono come afferma sempre Galimberti, pensando che ogni valutazione avviene premendo un tasto: rapidamente, senza riflettere molto.
Elaborare un pensiero critico, stimolare la riflessione, come porsi domande, allenare il cuore, sono facoltà che che insegnano a vivere. A vivere meglio in generale, soprattutto meglio quando si sta male.
Troppo spesso insegnanti e genitori si preoccupano dei voti nelle materie, che sono importanti ma mai quanto l’insegnamento ad essere umani e a stare tra essere umani. Se un bambino impara sin da piccolo il problem solving saprà da grande risolvere più facilmente un problema e si sentirà meno insicuro; se impara ad ascoltare le sue emozioni e a gestirle sarà un adulto che conoscerà meglio sè stesso.
Lo aveva capito Goleman introducendo l’intelligenza emotiva nelle scuole decenni fa; forse l’aumento del disagio psicologico post pandemico sta sollevando le coscienze a vedere quanto sia necessario agire prima che il problema si crei, dando quegli strumenti che altrimenti la persona acquisirebbe solo con un percorso terapeutico.
LA CULTURA DELLA DIFFIDENZA. Quando non si posseggono gli strumenti per capire il mondo, quando non ci sono statti insegnati, quando forse i tempi di cambiamento sono stati troppo veloci persino per gli adulti intorno, si cresce con un senso di spaesamento e di insicurezza. Sentirsi inadeguati e incapaci di leggere la realtà è una delle maggiori criticità psicologiche di questo momento storico. E quando si è insicuri si cercano in genere due soluzioni esterne, un manuale di sopravvivenza e un senso di diffidenza per proteggersi continuamente da ciò che non si conosce o ri-conosce. O non si agisce o si agisce attraverso l’impulso. Chiaramente non sono due strumenti validi, anche perchè si autoalimentano a vicenda; più siamo insicuri più ci rendiamo conto che siamo circondati da miliardi di stimoli, che ogni momento richiedono una risposta di conferma o disconferma. Dalle informazioni sovrabbondanti, dalle richieste di contatto eccessive, dalla pubblicità a fiumi, dalle possibilità di cadere in trappole relazionali o di frode sulla rete.
Quando gli stimoli sono così numerosi, cedere ad un estremo o ad un altro, cioè essere eccessivamente creduloni o eccessivamente chiusi e diffidenti, diviene la via d’uscita più facile. In realtà se si vive costantemente in un senso di sfiducia, questo meccanismo di difesa a lungo termine non ha più una valenza solo protettiva, finisce con il farci rinunciare a vivere.
IMPARARE L’EQULIBRIO E LA CENTRATURA. Se l’intelligenza emotiva fosse insegnata i bambini svilupperebbero una maggiore conoscenza di sè e un equilibrio interiore capace di generare una soluzione più sana ai problemi del mondo. Saprebbero come:
-farsi le domande giuste per arrivare a risposte più consone alle loro richieste
- saprebbero come interpretare il oro stati d’animo
- – saprebbero come capire le emozioni altrui senza timore di esserne sopraffatti
- – saprebbero come esporre i loro bisogni ed esprimere le proprie idee senza timore
- – saprebbero come scegliere senza lasciarsi condizionare dall’esterno
- -saprebbero vedere le cose da punti di vista diversi e temere meno il conflitto
- – saprebbero riconoscere il rispetto per se stessi e a per gli altri- saprebbero come orientarsi verso ciò che li fa star bene ed allontanarsi da ciò che fa male. Senza la pretesa di riuscirci sempre, ma dando sicuramente mille strumenti in più per provarci.
INTELLIGENZA EMOTIVA ED EDUCAZIONE CIVICA. Tantissimi anni fa ebbi l’occasione di lavorare con dei bambini di scuola elementare e media sull’intelligenza emotiva. Delle insegnanti illuminate, tra le centinaia di proposte che feci solo loro l’accolsero, sentivano quanto fosse importante creare un clima diverso nelle classi. Partivo facendo dei circle times, in cui i bambini sedevano a cerchio e avevano modo di parlare liberamente guardandosi negli occhi, senza temere il giudizio degli altri, ascoltando la visione dell’altro in silenzio, capendo il suo stato d’animo e dando una spiegazione al proprio. Fu un’esperienza arricchente spero anche per coloro che per quei mesi vi parteciparono; per me fu capire ancora meglio quanto un lavoro sulle emozioni, sull’ascolto cambiasse il clima il classe, fluidificando la comunicazione e il rapporto tra i bambini. Non solo, i bambini in questa fase sono ancora puri, emotivamente sani, prima che si lascino condizionare dalle aspettative altrui o della società; le funzioni basilari che vengono poi perse nell’età adulta, sono ancora vive e funzionali!
Sento che mai come in questo momento storico un lavoro del genere partendo delle basi, stia diventando un’urgenza a cui bisogna pensare e a cui bisogna rispondere per noi stessi e per il bene del mondo che ci circonda.
Rebecca Montagnino
L
Commenti recenti