IL RISCHIO CHE AIUTA

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Generalmente i genitori di oggi fanno di tutto per evitare qualsiasi forma di rischio per i loro figli. Li proteggono, come è giusto che sia, ma non pensano che evitando loro di sperimentarsi, ne bloccano il senso della ricerca. La società odierna dà un connotato negativo al termine rischio, confondendolo con il pericolo; il pericolo è qualcosa che un bambino non vede e da cui non capisce che si deve proteggere, il rischio è una sfida, prima fra tutti la sfida di affrontare la paura. Il rischio diviene quindi un modo per tastare i propri limiti, sentirsi più forti, acquisire autostima, prepararsi ad affrontare rischi più grandi che arriveranno nella vita. Il rischio è qualcosa che i bambini accettano di assumere sulla loro pelle, serve anche per avere più fiducia in loro stessi piuttosto che per imparare a non farsi male, valutando le situazioni e sviluppando fiducia nelle proprie risorse. Non a caso si usa l’espressione correre un rischio, che significa andare “incontro a”.

Di recente ascoltavo U.Galimberti in una splendida intervista, parlare di come non si devono tenere troppo lontano i bambini dal dolore e anche dalla morte, intanto perchè a livello di inconscio collettivo siamo tutti predisposti a saper affrontare questi traumi e in secondo luogo per abituarli alla vita.

Evitando loro i rischi si finisce con l’incorrere in un rischio che oggi vedo dilagare e diventare sempre più preoccupante: quello di non farli crescere, di renderli adulti inadeguati ed eccessivamente fragili, inabili a vivere situazioni anche normali, non in grado di prendere decisioni e quasi del tutto intolleranti a minime frustrazioni. Il sociologo britannico Frank Furedi ha coniato un termine, paranoid parenting con cui si intende questa visione di fragilità estrema, per cui i figli debbono esser protetti da qualsiasi eventuale danno fisico o psichico. C’è il terrore di tutto, da quello che può avvenire loro in strada, ad incidenti nei parchi gioco, all’ammalarsi; se un tempo i bambini venivano considerati forti e robusti e giocavano in strada, oggi si tengono in casa o si iscrivono a maratone di attività extrascolastiche sempre controllate e guidate dalla famiglia. I figli vengono sorvegliati di continuo, a scuola, a casa, subendo l’ansia dei genitori che vivono come pericolo reale, non è quindi strano che poi una volta adulti, hanno poca esperienza di vita e poca voglia di averne. Non sanno staccarsi fisicamente dalla famiglia e psicologicamente, continuano a dipendere dalla presenza o dall’opinione di mamma e papà a discapito della formazione della loro personalità.

I genitori di oggi sono i figli degli anni ’80, cioè sono stati i primi bambini che invece di giocare con i coetanei e di azzuffarsi per por rifare pace, (cosa che molti bambini non sanno fare se non con la mediazione di un adulto), sono passati dalla strada alla comoda poltrona di casa, davanti la tv. Hanno visto i loro genitori farlo, come li vedono in adorazione per i loro smart phone ogni giorno. L’infanzia di un tempo era contraddistinta dal gruppo di coetanei, oggi se parliamo di gruppi ci riferiamo ai centinaia su whatsapp o alle community di internet. E’ la genitorialità ad essere divenuta fragile oggi, dal momento che ha riportato dentro casa il figlio, prevenendo tutti i rischi della sua giovane vita. Il figlio così ha smesso di sperimentare le sue emozioni, non sapendo come autoregolarsi e controllarsi, come se i bambini avessero smesso loro ad un certo punto di avere una capacità regolativa che possedevano fino a quel momento. E questo ha creato un’eccessiva identificazione emotiva dei genitori, un allarmismo che crea sfiducia nel bambino. Lo si vede e lo si sente soprattutto su come le famiglie di oggi urlano ma non si ascoltano; urlano i genitori che cedono subito e non sanno dare loro delle regole (spesso non le sanno dare nemmeno a loro stessi), urlano i figli che pensano così di ribellarsi.

Quando assistiamo all’ aumento dei casi di ansia nei giovani, non c’è perciò da stupirsi. Se questi ragazzi hanno vissuto eccessivamente ovattati grazie alla protezione genitoriale, l’uscir fuori scatena reazioni emotive incontrollabili. Se sono continuamente messi in guardia non sanno nemmeno fidarsi del loro giudizio e possiamo solo immaginare cosa significhi muoversi nel mondo, senza avere un criterio personale di valutazione o senza saper giudicare obiettivamente la presenza di un reale pericolo.

Ricordo lo spassosissimo film francese Tanguy in cui una coppia di genitori cercava in tutti i modi di stimolare l’uscita di casa del loro figlio trentenne, escogitando strategie per invogliarlo a fuggire dal nido, mentre ogni tentativo falliva. Qualcosa che sembrerebbe sacrilego, come desiderare che i figli se ne vadano via, veniva rappresentato in modo naturale, come è giusto che sia. Genitori apprensivi creano figli ansiosi, insicuri, immaturi; nonostante abbiano conseguito lauree, master, dottorati (con il gran piacere dei genitori che possono postare le foto del loro successo su instagram), rimangono bambini impauriti ed incapaci di stare al mondo. La discrepanza tra il titolo importante che hanno conseguito e l’immensa paura con cui vivono, è qualcosa che sempre continua a sconcertarmi e a farmi pensare a quale senso di inadeguatezza possono vivere questi ragazzi. Se si sono mossi nel mondo lo hanno fatto sempre in modo protetto. Questa non è libertà vera e propria, quanto libertà condizionata, legata da un lungo guinzaglio che non hanno visto perchè riempiti di agi e concessioni, quando anche regali degni di una vita il cui status forse loro non riusciranno mai a raggiungere con i loro sforzi. Tutto quello che hanno avuto inoltre non era gratuito, ma dovrà essere rimborsato restando incollati alla loro famiglia, imitando per immagine e somiglianza l’idea che i genitori avevano per loro.

Il guinzaglio ancora viene rappresentato oggi dal telefono con cui i genitori possono sapere in ogni istante dove sono, cosa fanno, con chi stanno, quando tornano, se hanno cenato, cosa hanno mangiato, su come è andata a scuola e i figli se da un lato si scocciano di questa continua intrusione, dall’altra sono spesso i primi ad avere il bisogno di condividere con i genitori qualsiasi cosa che avviene nelle loro vite. Ed entrambi sentono che questo è un segno positivo, di modernismo, in cui non ci sono segreti o barriere, ma nemmeno più intimità tra le due generazioni

Così come i disturbi d’ansia sono in aumento, lo sono quelli di ipocondria e di obesità. Cresciuti con la paura di ammalarsi e difatti più spesso malati dei bambini di un tempo ( vivono: la mancanza di ore all’aria aperta, lo stare in luoghi chiusi sin da piccoli, l’inattività motoria) ha reso il loro sistema immunitario, come le loro difese psicologiche, più sottile. Pensiamo poi che l’inattività si associa al mangiar tanto e male, due fattori che creano uno stato infiammatorio nell’organismo, di conseguenza più predisposto alle malattie. Quante volte vediamo bambini oltre i quattro anni stare ancora nei passeggini? E poi vengono rimproverati perchè pigri…

Da un lato quindi il benessere economico che li ha assopiti in una grande e soffice zona comfort, dall’altra l’iperprotezionismo atto a difenderli da ogni male: il risultato una generazione davvero troppo fragile, insicura e immatura. Costretti ad andare dallo psicologo per diventare adulti, con un disagio crescente sia per loro che lo avvertono sia per chi dovrà avvalersi delle loro prestazioni professionali, che non includono l’esperienza di vita, il buon senso, semplici ma necessarie facoltà in qualsiasi ambito lavorativo. Non sono i genitori che sbagliano, ma il loro sistema educativo e probabilmente anche la ricerca di aiuto “a caso” crea facili e false suggestioni, provocando una grande confusione su cosa fare, se dare regole, se le regole sono fonte di traumatismo, se è meglio avere una relazione amicale, se la solo comunicazione senza punizioni sia efficace. Spesso sento i genitori stessi che chiedono ai figli come vogliono essere educati, come se non sapessero più dove mettere le mani e lì comprendo che ci siamo persi davvero qualcosa…

Rebecca montagnino

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