Quando la sfiducia degenera in paranoia…

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Quanto abbiamo la tendenza ad essere diffidenti???? Sempre sul tema della sfiducia come preannunciato vi inoltro il seguente articolo tratto da “Festival della psicologia”; lo pubblico per esteso al fine di invitarvi alla sua lettura, dove sono certa troverete spunti interessanti di riflessione

FESTIVAL DELLA PSICOLOGIA – “Ma è vero che stiamo diventando tutti paranoici?

“Ma dici a me? Dici a me?”.

Chi non ricorda Robert De Niro che si sfida con tono minaccioso allo specchio in Taxi Driver? Lo sceneggiatore disse di essersi ispirato, nella costruzione del protagonista Travis Bickle, alle atmosfere di alcuni romanzi dell’esistenzialismo, come La nausea di Sartre o Lo straniero di Camus. Caratteristica di quel milieu era la descrizione di un clima straniante, di drammatica rottura tra l’individuo e l’ambiente, di separazione esistenziale tra sé e l’altro da sé.

La percezione di inimicizia, di solitudine profonda, di incomprensione con l’ambiente esterno sono alcuni ingredienti di base in cui macera la paranoia, che si coagula poi definitivamente in un sentimento di sospettosità, di sfiducia e timore nei confronti dell’altro. La paranoia descrive un quadro psichiatrico specifico, ma la parola è tracimata nel linguaggio comune, ad indicare varie sfumature emotive. 

Rientro a scuola, allarme contaminazione: reale pericolo o inutile paranoia?”

“Berlusconi va in paranoia per il Covid”

“Ok computer, l’Album dei Radiohead fatto di paranoia, poetica e suoni sperimentali”

Queste sono alcune frasi che si trovano sul web, cercando il termine tra le notizie indicizzate su Google. E poi a chiunque abbia conoscenze tra i ragazzi e i giovani adulti, sarà capitato di sentire che “X è andato in paranoia per Y” o che Z “sta imparanoiato” per una tale preoccupazione. Estensivamente, sembra che nel linguaggio comune la paranoia indichi un forte stato di disagio, ansia, sensazione di pericolo, smarrimento. Ma anche che c’è un determinato contenuto che assorbe prepotentemente l’energia psichica ed emotiva e intorno al quale girano in modo maniacale i pensieri.

Sì, perché nella paranoia (intesa sia nella versione della psicopatologia che in quella del linguaggio comune) l’incepparsi della ideazione è una caratteristica fondamentale: è un pensiero fisso che si impossessa della scena ed è quello specifico contenuto che si inizia, con una lucidità che ha una sua coerenza interna stringente, a mal interpretare.

Nella paranoia clinica, infatti, non esistono allucinazioni, ma un atteggiamento delirante intorno al sospetto che gli altri ce l’abbiano con noi o che vogliano farci male o tradirci. E questi altri possono avere un volto specifico (i vicini di casa, come nel film “L’inquilino del terzo piano” di Polansky) oppure possono essere indefiniti. Ci si sente vittime di un raggiro, di una persecuzione o di un complotto.  

Un assetto paranoico prevede la difficoltà a distinguere la realtà oggettiva dalle proprie sensazioni e percezioni ed un conseguente stato di ipervigilanza e allarme (tra l’altro, in una recente indagine pubblicata dal Sole 24 ore sulla percezione di minaccia legata agli immigrati, gli italiani sono risultati il popolo con la maggiore discrepanza fra percezione e realtà).

Dal punto di vista della relazione, la paranoia è un drammatico fallimento della fiducia nell’altro. Perché, allora, in questo momento è così popolare? Sul piano psicosociologico c’è sicuramente un conflitto tra ciò che è pubblico e ciò che è privato. Siamo costantemente esposti allo sguardo dell’altro, desideriamo lo sguardo dell’altro, ma allo stesso tempo lo sguardo dell’altro è fuori controllo e possiamo dubitare della sua benevolenza (facebook, instagram, droni nel cielo, una moltitudine di Grandi Fratelli e occhi puntati).

L’atteggiamento paranoico, poi, facilmente dilaga oltre il proprio confine esistenziale. In una intervista di alcuni anni fa lo psicanalista junghiano Luigi Zoja ha detto: “La paranoia  –  ha questo di caratteristico  –  si trasforma facilmente in infezione psichica collettiva. […] Per il paranoico il male corrisponde sempre ad altre persone che gli sono antipatiche o addirittura che non conosce ma elegge a nemico.”

Rintracciando il filo del discorso sulla fiducia, possiamo pensare che alcuni cambiamenti radicali della società contemporanea abbiano pesato fortemente nell’aumento del sentimento di sospettosità e incertezza: i cambiamenti del mondo del lavoro, sempre più frammentato, deregolato e precario; la crisi economica e i conflitti militari, con i relativi esodi di popolazioni; il terrorismo; gli scenari connessi ai cambiamenti climatici; le minacce legate allo sviluppo delle tecnologie, soprattutto informatiche; l’amplificazione dell’allarmismo attraverso i mass-media, che rispondono ad un utilizzo spesso propagandistico delle minacce incombenti; l’erosione della legittimità dei sistemi istituzionali investiti del ruolo di protezione formale nei confronti dei pericoli. Tutti questi sono scenari che suscitano la sensazione che le cose che ci circondano incombono come minacce su cui siamo radicalmente impotenti: il pensiero paranoico insorge con il movente di dare una logica a ciò che logico non è, un controllo a ciò che è fuori controllo; insorge con la drammatica speranza di dare un senso a ciò che sfugge alla comprensione.

Il recente accadimento della diffusione del Covid-19, in questa linea del discorso, è stato un amplificatore di assetti paranoici, spesso al di là di ogni legittima e comprensibile preoccupazione per la salute.

Torniamo quindi all’inizio, a De Niro che si sfida allo specchio. Quello che proiettiamo come idea persecutoria sul nemico riguarda sostanzialmente un sentimento di profonda incertezza, una rottura dell’alleanza affettiva con l’altro, l’impossibilità a costruire e mantenere un codice intimo di appartenenza. Da questa profonda frustrazione, da questo essenziale fallimento, la psiche cerca una soluzione, strutturando difensivamente una impalcatura di pensiero coerente, lucido – seppur delirante -, che spostando fuori da sé le emozioni di angoscia fornisce il compenso di un’illusoria padronanza.

Se all’origine di una cultura paranoica vi è la rottura dell’alleanza tra sé e l’altro, per contrastare la paranoia è necessario quindi ripartire dalla comunità. Dalle relazioni reali, quelle che creano continuità nel tempo, quelle che ci accompagnano e che diventano specchi per la nostra evoluzione. E’ necessario costruire contesti dove condividere aspetti affettivi autentici. Creando antidoti reali alla solitudine e al senso di isolamento. “

La fiducia in me stesso, dell’altro e del mondo. “Per fidarsi occorre ritornare alla comunità, al linguaggio” si afferma nell’articolo, praticamente il contrario di quanto avviene normalmente. Per fidarsi infatti occorre creare una o più esperienze di fiducia, dobbiamo passare del tempo con noi stessi, con l’altro o a conoscere il mondo per sviluppare un’adeguata (ma mai PERFETTA) valutazione. Tempo e approfondimento poi non sono di certo i motori di conoscenza di quest’era. Comunichiamo infatti troppo con i social, troppo poco dal vivo (dove anche grazie al linguaggio non verbale avremmo un’idea più completa delle persone)… e non diamo la colpa al covid, avveniva anche prima! Ad una società malata di insicurezza e con il delirio di controllo come la nostra, la dipendenza da connessione dal mondo virtuale non può che alimentare questo fenomeno.

Proprio sulla rete troviamo tutto e il contrario di tutto: informazioni, soprattutto opinioni, perchè la rete è il luogo dove ognuno può postare le sue idee senza aver verificato prima la fondatezza ( e spesso anche l’utilità di diffonderle). La babele di contrasti e incongruenze fa si che chiudiamo la navigazione senza aver preso una posizione o esserci sufficientemente informati per farlo. Questo senso di sfiducia difronte ad un lavoro di selezione enorme, come lo è il far luce in una matassa infinita di input, si trasforma in un senso di vuoto profondo e di impotenza; subiamo in tal modo passivamente quello che leggiamo, divenendo vittime dell’overwhelming ovvero del sovraccarico di stimoli che subiamo. Se cerchiamo di farci un opinione guardando i programmi di attualità in tv, assistiamo a dibattiti in cui le argomentazioni si contraddicono costantemente. A chi credere?

Da insicuri come siamo non riusciamo a credere in noi stessi, non possiamo nemmeno fidarci al 100% dell’altro, per non parlare del mondo che ci circonda, di cui siamo spaventati…

L’educazione alla diffidenza– Nella nostra cultura poi il senso di sfiducia è ancora più forte; sin da piccoli veniamo educati a stare attenti a tutto, al freddo, al caldo, agli altri, a farci male, alle malattie, a non sporcarci, a cosa diranno gli altri, a come ci vestiamo, al senso di apparenza, a quale gruppo apparteniamo. Non ti fidare è un messaggio ripetuto con la “buona” intenzione di proteggere, dimenticando che se viene ripetuta troppo, rischia di degenerare in disturbi paranoici o ossessivi compulsivi; si dimentica inoltre, fattore ancora più necessario, di insegnare al contempo delle competenze o per lo meno di stabilire criteri che possano aiutarci nel formarcela. Tutto questa apprensione genera ansia e sfiducia, passività e paura di esporsi, paura del rischio, paura di venir giudicati, che sono le basi della sfiducia e di un atteggiamento timoroso dell’altro, molto vicino ad uno stile paranoico attraverso cui leggere il mondo.

Quello che c’ è fuori spaventa, all’interno invece ci viene detto è tutto sicuro, protetto e famigliare. E sebbene la cronaca e l’aumento delle richieste di terapia famigliare contraddica tale convinzione, si continua ad elargirla. Di conseguenza non ci avventuriamo nel mondo sperimentando, formandoci così una nostra visione, sbagliando e se lo facciamo, è sempre molto tardi cronologicamente, non ci rimane pertanto che restare avvinghiati al timore come fonte di protezione.

Ci viene insegnato a non fidarci delle nostre impressioni, senza considerare che è attraverso gli errori che si impara; continuiamo nella crescita come da bambini, a chiedere consiglio agli altri sulle nostra vita. C’è un problema però : finchè qualcuno ci dice di cosa fidarci di fatto non sviluppiamo il NOSTRO istinto, la NOSTRA capacità di valutazione della realtà. La nostra considerazione della fiducia resta pertanto : semplicemente non so leggere la realtà, mi costa fatica, potrei sbagliare e non mi sento in grado di giudicare da solo se fidarmi o meno.

LA PAURA DI ESSERE ” FREGATI”. Si è generata una cultura e una società di persone che temono sempre di essere fregate, e spesso, soprattutto se esiste tale convinzione prima o poi la vita la conferma, la profezia si autoavvera. Il che non significa che non ci si può fidare mai, che si deve sempre dubitare, quanto imparare a capire come farlo. Sembra infatti che al riguardo ci siano due solo possibilità; l’ingenuità o la diffidenza.

A peggiorare la situazione diciamo che le relazioni liquide di oggi non aiutano, siamo sempre più convinti che il tradimento (quindi la mozione di sfiducia “umana” ) sia in agguato; eppure si cercano proprio nel web, dove non potrebbero che essere ancora più liquefatte, relazioni importanti a qualsiasi livello. Si rovista nel catalogo di immagini come in una galleria di falsi e poi ci si lamenta di non trovare un “originale”. Tante volte mi domando se si cerca più la conferma delle proprie idee o di ritrovare realmente un pò di fiducia nel prossimo.

Ovvio che il mondo attuale e il periodo che viviamo non aiuta, siamo bombardati da notizie contrastanti, da visioni complottiste, guardiamo troppe serie passivamente che hanno uno sfondo violento ed ansiogeno, siamo malati di insicurezza e di bisogno di controllo, in pratica facciamo involontariamente (..) di tutto per non uscire fuori da questo dilemma.

Leggevo che uno sinonimo di aggettivo per descrivere una persona sfiduciata è quello di “avvilito”; significa che più ci sentiamo im-potenti, più le emozioni di base che sentiamo sono appunto la paura e la tristezza.

Forse come sempre il vero male sta ancora prima e come sempre riguarda una consapevolezza troppo fioca per poter illuminare e guidare le nostre esistenze, consapevolezza di quanta sfiducia ci portiamo addosso…E la teniamo stretta pensando che possa esserci d’aiuto invece che provare, faticare a capire, capirci e capire un pò di più questo mondo.

Rebecca Montangino

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