L’obesità stigmatizzata

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Vi siete mai domandati come può vivere una persona obesa in una società votata al mito della forma fisica e dedita al culto dell’apparenza? Così male che nemmeno se ne parla o si usano giri di parole per dirglielo senza dirglielo, a volte sono solo sguardi ad esprimersi…Nella nostra visione conformista e globalizzante in cui si annullano le diversità, c’è un solo modello a cui tendere, oltre il quale il resto non viene accettato. Chi è obeso soffre in silenzio e in solitudine, se lo dicesse apertamente si sentirebbe colpevolizzato oltre che da sè stesso, anche dagli altri. Vive appartato perchè sa di non essere accettato, non trova nemmeno le sue taglie facilmente nei negozi di abbigliamento, in quanto quelle taglie “non dovrebbero esistere”. Non è “normale” in qualche modo.

Stigmatizzare si riferisce ad un fenomeno sociale che attribuisce un connotato negativo ad un membro della società e lo declassa a livello inferiore. E’ uno stereotipo agito in qualche modo. Purtroppo diciamolo sinceramente, alla stigmatizzazione dell’obesità sono associate tre convinzioni generalizzate: l’aumento di peso è colpa della persona, chi è obeso è pigro, chi è obeso non è attraente.

CIRCUITI PSICOLOGICI E OBESITA’. Cosa provoca l’obesità da un punto di vista psicologico? Tra i vari eventi scatenanti, oltre a disfunzioni organiche, abbiamo visto che la componente psicologica gioca un ruolo fondamentale. Il fattore cognitivo ed emotivo sono determinanti sia nel cadere vittima del mangiare compulsivo e delle abbuffate, sia nel mantenimento della condotta. Molti studi infatti hanno evidenziato come spesso il soggetto che cade in questa trappola, desiderio-ossessione-abbuffata, non sia consapevole del processo in atto. Come vedremo più avanti è proprio su questo e per questo, che la pratica della mindful eating sta riscontrando un grande successo nelle diete e nella cura dei disturbi alimentari.

Il mangiare chiaramente non risponde più solo al bisogno omeostatico della nutrizione, se così fosse le persone mangerebbero solo per fame. E se così fosse aggiungo, non ci sarebbero tanti problemi di altra matrice che ruotano attorno e che aggravano la situazione.

Le persone con problemi di obesità hanno evidenziato una disfunzione dell’autoregolazione emotiva e un’alterazione dopaminergica del centro della gratificazione. Questo significa che ad alterarsi è spesso un bisogno emotivo che non trovando appagamento in altre situazioni, viene compensato dal cibo. Inoltre il centro fame sazietà si desensibilizza sempre più con il tempo, finendo con l’alterarsi, per cui le quantità di cibo ingerite per produrre soddisfacimento (come in tutte le dipendenze ) devono aumentare. Non solo, la vista del cibo (pensiamo quindi come la pubblicità o i canali che trasmettono programmi sulla cucina) è molto più ossessionante per costoro.

La ricompensa non diventa perciò trarre vantaggio dal rinunciare a tale condotta, quanto soddisfarla il prima possibile, perchè l’abbassamento della tolleranza per la frustrazione provocata dalla privazione, diviene sempre più basso.

PATOLOGIE E OSSESIONE DEL CORPO In realtà la cultura dell’apparenza boccia tutti gli estremi: chi è magro a Roma viene definito secco, ed è ostracizzato perchè anche lui “reo” di essersi ridotto così. Quello che non arriva è che nella nostra società dobbiamo tutti essere perfetti e belli, così tanto da esserne diventati succubi; la stessa attività fisica è finita nelle liste delle dipendenze. Ortoressia, vigoressia, anoressia, bulimia, sono conseguenze di personalità in simbiosi con la loro immagine, da cui pensano di trarre la sicurezza che gli manca dentro. Corpi che per il troppo allenamento si gonfiano come fossero corpi grassi, training di moda o di massa che non hanno nulla a che fare con lo sport, quanto con la ricerca per essere il più vicino alla perfezione che questa società richiede. Ho visto fare tanto sport all’aperto quest’anno, persone in grado di adattarsi a situazioni diverse prendendoci gusto e facendolo con impegno. Come ho visto purtroppo persone allenarsi e farsi i selfie ad ogni espirazione o chiedendo al trainer di fare un video da postare subito dopo. Cos’è diventata l’attività fisica ad oggi, con quale scopo si pratica?

Ragazze ancora in età da sviluppo chiedono per i loro diciotto di rifarsi un seno che non conoscono ancora, la prassi del botulino è norma, perchè è “normale” vivere cercando l’ideale di bellezza condiviso globalmente. Disturbi alimentari in aumento, intolleranze in progressione, controlli del peso alternati a comportamenti di binge eating e binge drinking. Il caos come alterazione ed estremizzazione da un punto di vista psicologico è una risposta all’insicurezza dilagante che genera ansia dilagante e all’idea che per evitarla. bisogna essere il più possibile aderenti ad un modello socialmente approvato.

ESSERE UN PESO. Così chi si trova per problemi di peso agli estremi come a Sparta viene buttato via; deriso, additato, senza pensare che dietro oltre alla presunta “colpa”, magari esiste un problema di salute o emotivo o che è proprio l’esasperazione per la forma che deforma il concetto e le sembianze alla fine. Chi è obeso sente non solo il peso addosso, ma di essere un peso indesiderabile per una società come la nostra.

https://lamenteemeravigliosa.it/trattamento-psicologico-dellobesita/

Ci sono diversi fattori che possono concorrere al disturbo e spesso chi ne soffre si ritrova oltre il problema pratico, la non accettazione personale e la colpevolizzazione collettiva. L’obesità non è in primis un problema estetico, sebbene venga sofferto soprattutto per questo, ma un problema che condiziona e causa tante gravi patologie per la salute.

IL SIGNIFICATO DEL CIBO. Attualmente quanto parliamo e pensiamo al cibo? Il cibo così non è più nutrimento ormai, è diventato il collante della socializzazione, a volte la spettacolarizzazione delle proprie scelte ideologiche, il contenitore dell’ansia e un veloce mezzo di gratificazione. Questi ultimi due aspetti sono molto presenti nei trigger che spingono alle abbuffate; la dipendenza come la gratificazione, innescano gli stessi circuiti per tutte le forme di addiction e sappiamo che una volta che si alterano, divengono più labili ad essere riutilizzati come centri di ricompensa-

Abbiamo visto durante questa pandemia, come il cibo abbia ancora più assunto di questo valore gratificante, generando ancora più problemi nei disturbi del comportamento alimentare. Che abbia un ruolo di copertura per l’ansia o per qualsiasi alterazione psicologica, ha innegabilmente una funzione di anestesia sulle emozioni.

A guardare bene ogni forma di compensazione oggi è molto “orale” (la fase orale era considerata da Freud la prima fase dello sviluppo psicosessuale in cui il piacere deriva dalla bocca. Esiste quindi, se non viene elaborata, una fissazione in quello stadio. Le condotte di ricerca del piacere sono pertanto bloccate a sensazioni che ricordano molto quelle della precoce relazione madre-bambino). Il fumare, bere e mangiare, diventano sotto questa analisi, una forma di copertura di bisogni emotivi come di ricerca di contenimento.

Il cibo è un collante sociale inoltre, uno dei pochi argomenti veloci che lega le persone: si parla di cibo in modo ossessivo, se ne parla anche mentre si mangia. Come se il bias della scarsità fosse sempre all’erta per farci scattare un comportamento di approvvigionamento mentale e comportamentale, persino nello stesso momento in cui viene consumato.

LA MINDFUL EATING E LE DIETE.

Ho già parlato altre volte di cosa sia la mindful eating; un modo di ritrovare una capacità di mangiare in modo consapevole, gustando con tutti i sensi, essendo consci dei bisogni che ci muovono nel ricercarlo oltremisura. (Per questo tali programmi sono stati consigliati vivamente dall’OMS in riposta all’allarme al crescente dell’obesità anche tra i bambini)

Vi parlerò della mia esperienza personale invece, perchè da quando ho completato i corsi sui disturbi del comportamento alimentare e sulla mindful eating, ho rovesciato il mio modo di mangiare. Non tanto nei comportamenti, nella quantità o qualità, quanto nella capacità di stare nell’esperienza, sicchè ogni pasto è un momento di piacere in cui mi sento concentrata su quello che faccio. Ha cambiato così oltre all’approccio, forse anche l’identità alimentare. A causa di un problema metabolico che mi faceva perdere molto peso ho dovuto rinunciare ai carboidrati. Conosco quindi quegli sguardi di cui parlo, li ho visti per molto tempo, la colpevolizzazione e quel senso di disapprovazione sociale. Questo percorso ha migliorato la coscienza di mè stessa, l’attenzione e il piacere senza che fosse vissuto come uno sforzo o un’immeritata privazione.

Il fatto che le diete anche se per motivi importanti e malattie non funzionino, è proprio perchè vertono sulla privazione, per cui il soggetto più si sente deprivato “ingiustamente”, più crea l’effetto paradosso e si ossessiona con l’oggetto della mancanza. Più si mangia e più ci si sente in colpa dopo, costruendo un circuito da cui si non si esce, anzi semmai aumenta solo le condotte disregolative.

La mindful eating funziona, laddove le diete prima o poi falliscono: restituisce al cibo quel senso di piacere senza però contaminarlo con altri piaceri o bisogni insoddisfatti. Si basa su un ritrovamento della propria centratura che si estende anche al comportamento alimentare. Insegna una disciplina consapevole, ma al contempo piacevole, perchè fa leva sull’equilibrio.

Questa esperienza mi ha portato ad essere sempre più convinta che un generale programma di sensibilizzazione sul cibo e sulle condotte alimentari servirebbe a tutti, senza stigmi e stereotipi. Aiuterebbe chi ha difficoltà ad uscire da qualsiasi componente fisica ed organica che determina un problema di peso. Non essendoci una lista di cose da evitare o da usare, è prima di tutto un percorso di conoscenza personale e dal modo in cui mangiamo, possiamo capire molto su come siamo, ci sentiamo, ci gratifichiamo. Ed acquisito questo comportamento, diventa poi una sana abitudine. Soprattutto mette in luce cosa ci manca davvero, dietro la copertura del disturbo alimentare.

Per quanto concerne invece il problema della stigmatizzazione, a prescindere che non ce ne dovrebbero essere in nessuna situazione, ancora meno laddove non sappiamo quanto possa essere una situazione penosa per la persona che ne è afflitta. Potremmo reimparare a metterci nei panni altrui, guardare le persone per quelle che hanno dentro e magari cogliere quest’attimo di vita per riflettere meglio su tutto quel mondo di fuffa con cui ci ingozziamo quotidianamente.

Rebecca Montagnino

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