EDUCARE ALLE DIFFERENZE

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Parlare di un’educazione alle differenze oggi, dovrebbe essere più importante che mai, se non fosse che è scomodo: in primis  perchè la globalizzazione e quindi l’omologazione ha portato ad escludere, piuttosto beatamente, le differenze individuali; in secondo luogo semplicemente perchè oggi si temono  le differenze personali.

Ciò che un tempo poteva sembrare piacevole e rassicurante, come il trovare una serie di nostre abitudini in varie parti del mondo, ha finito con l’abituarci ad inseguire quelle abitudini ovunque. Non solo, ma non trovarle o doversi adattare a situazioni nuove, genera ansia e destabilizzazione. La novità pertanto non è mai un vero cambiamento, perchè cambia lo sfondo, ma non il contenuto. Questo fenomeno è visibile tanto quando partiamo in vacanza, in villaggi o catene di ristorazione o di abbigliamento, che ci danno quel conforto “domestico”, quei punti di riferimento che assottigliano però la nostra naturale tendenza alla sperimentazione, tanto quanto ci spaventano le differenze tra esseri umani che ci portano ad inseguire e coltivare  le “somiglianze” nelle nostra quotidianeità.

Per non parlare della comunicazione, che con l’era tecnologica si è omologata al punto  da creare modelli predefiniti di comportamento, un insieme di regole comuni che ci permettono in apparenza una condivisione maggiore, abolendo al contempo, lo spazio della libera iniziativa.

La paura di essere diversi, che è tipica dei bambini, non abbandona nemmeno gli adulti, che si adattano a ruoli e stereotipi per scansare la fatica della scelta individuale e la possibile disapprovazione sociale. Anzi, il gadget di esperienze che uno si porta con sè nella vita, è sempre più racchiuso in un ventaglio di conoscenze non solo affini, ma simili tra loro. Si tende pertanto a muoversi sempre nella rassicurante zona confort, escludendo la novità e  la ricerca. La conseguenza è un impoverimento e un appiattimento della personalità, accanto ad un esclusione di quello che viene sentito come diverso ( quindi sbagliato) dalle proprie conoscenze o abitudini.

I sentimenti che permeano l’idea che abbiamo del futuro sono di incertezza e sfiducia. Lo straniero  diviene pertanto il capro espiatorio,  protagonista di infiniti fatti di cronaca, dove l’omofobia, il razzismo crescente, diventano la via più facile per proiettare le nostre paure all’esterno. La paura dell’ignoto, inteso come qualcosa di non leggibile secondo i propri processi e modelli mentali, si sposta fuori; le nostre case, in cui ci possiamo “appartare” dal vedere certe scomode verità, sono i luoghi sicuri in cui le differenze vengono abolite e ci si sente a poprio agio, perchè vigono le stesse regole, gli stessi linguaggi tra gli abitanti. Non ultimo le persone  hanno lo stesso colore della pelle e frequentano gli stessi spazi .

Come afferma Z.Bauman “..il potenziale intimidatorio cresce quando più diminuisce la libertà degli individui posti difronte al dovere di affermare se stessi. Ciò avviene in quanto, per larghi settori della popolazione, significa impotenza e insicurezza  ..Lo straniero viene posto al di fuori della dimora sicura, gli abitanti di questo territorio si trasformano in minacciosi portatori di incognite; per questo devono essere controllati, scacciati, tenuti lontano..Il senso della casa è limitato a quello spazio in cui un certo senso coerente di ordine e decenza, può essere conferito a quella piccola parte di mondo caotico che il soggetto occupa e controlla direttamente. ..In questo posto non si corrono rischi o si corrono rischi sicuri. “

Per questo non resta che erigere muri, mettere gli stranieri in ghetti,  i poveri e i diversi in aree ben lontane dalla vista e proteggersi contro le nostre stesse Ombre, sebbene tale condizione, finisce con il renderci in-differenti. O peggio a sentirsi tolleranti, solo perchè ci si avvicina alla cucina etnica durante il week end.

Il problema sociale non nasce come sempre, solo dagli esiti della società postmoderna, ma anche da un tipo di educazione che annulla le differenze. Ed è vero che la mancanza di individuazione, rende le persone più simili e anche più gestibili, educabili, se non domabili.

Nelle famiglie i figli si devono adeguare/obbedire  a norme e gusti, quando anche ad uno stesso linguaggio emotivo, che da un lato ne vorrebbero permettere lo sviluppano sano,  ma da un lato non ne favoriscono l’emancipazione.

In psicologia non a caso si parla di differenziazione.

Il grado di differenziazione del sè  è uno degli elementi cardine della teoria di Bowen (uno dei massimi teorici della terapia sistemico-relazionale) e definisce la possibilità di ciascun individuo di differenziarsi dalla massa dell’io famigliare; quando  questo non avviene, a causa dell’intensità emotiva elevata o quando questo non permette la giusta emancipazione dei figli, sia da parte di questi che dei genitori, le persone restano dipendenti dai sentimenti degli altri nei loro confronti e sono soggette a gestire le relazioni in termini di conferma o rifiuto.

I confini dell’Io restano fragili, pertanto diventano rigidi, portando anche ad una fissità di pensiero che tende ad eliminare le possibili variazioni e compromettendo le capacità di indipendenza. Se tale emancipazione dal modello famigliare viene negata insieme all’espressione della propria individualità, il soggetto sarà meno incline all’empatia, come a stili di vita alternativi, a nuove idee.

Soprattutto nella nostra cultura si insegna davvero poco l’importanza della differenza, che implica apertura verso gli altri e verso il mondo, per non parlare della difficoltà enorme di questa generazione a differenziarsi dal proprio nucleo o dal proprio gruppo. Non essere “dentro”, molto spesso viene vissuto con la paura dell’abbandono o dell’allontanamento. Non si insegna la varietà emotiva tra individui, come l’originalità di pensiero, non viene incentivata. Aumentano perciò i condizionamenti e le convinzioni limitanti,  lontani dai quali ci si sente persi, non in grado di supportare la propria individualità. Se un figlio ha difficoltà a capire che le sue emozioni, le sue scelte, pur diverse da quelle dei genitori, sono comunque apprezzabili a vanno rispettate, come potrà afferrare e accettare le sfumature emotive, linguistiche, cognitive e culturali altrui?

Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui, offuschi la nostra voce interiore. E, la cosa più importante, è che dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario. ” (SteveJobs).

 

 

Rebecca Montagnino

 

BIBLIOGRAFIA:

Z.Bauman, La società dell’incertezza

Z.Bauman, la solitudine del cittadino globalizzato

M. Bowen, Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione di sè nel sistema famigliare.

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