Come ci attacchiamo alle nostre cose

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Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo” (Romeo and Juliet , W.Shakespeare)


In questo periodo molte persone stanno usando il tempo per liberare e sgombrare cose ormai inutili…chiaramente il mio invito è quello di farlo anche con parti di noi disfunzionali o con pensieri e stati negativi che continuiamo a trattenere. Così un pò a seguito dell’ultimo video sulla piccola storia buddhista, di qualche giorno fa, ho trovato questo video su TED, in cui vengono citate alcune ricerche per dimostrare come siamo noi ad attribuire un significato e un valore alle cose (va da se che lo stesso avviene per i pensieri ed emozioni che abbiamo sulle cose/persone) e come si attiva il senso del possesso. Riflettevo tra l’altro che il termine possedere possa essere usato sia per un talento, come possiamo essere posseduti da un vizio, così come possediamo una lingua straniera, o un bene…

In un film di qualche decennio fa, La sicurezza degli oggetti, i protagonisti lottano per il possesso di una macchina, dove chiaramente non è il possesso della macchina in sè ad essere contestato, quanto una proiezione personale di un loro bisogno non risolto. La lotta disperata infatti, è una lotta dove la macchina non c’entra più nulla, è un conflitto per risolvere e riprendere qualcosa del loro Sè. In psicologia si usa il termine disposofobia o sillogomania: il “può sempre servire”, tradotto in termini pratici, motivo per cui accumuliamo e ci circondiamo di cose che raccontano chi siamo e la nostra vita. Spesso viene generato da una difficoltà a separarsi dagli oggetti, quanto a capire con quale priorità di utilizzo e di utilità possono essere gettati via. Sbarazzarsi delle cose viene in genere inteso come svuotare un posto da ciò che è in disuso, mentre riferito alle persone implica uno togliere qualcuno dalla propria vita che dà fastidio. Come se la separazione degli oggetti, il vissuto di fastidio non fosse proprio contemplato. Ben diverso dal collezionismo, dove invece c’è una ricerca mirata, più che un accumulo compulsivo. Quest’accumulo quando patologico, può in alcuni casi portare alla rinuncia di separarsi dai perchè sofferta, tanto da rendere l’uso della casa problematico.

Ricordo molto bene un esercitazione ad un corso in mediazione dei conflitti con la celebre J.Morineau, (libri: Lo spirito della mediazione) celebre antropologa francese, dove ognuno dei partecipanti doveva scegliere un oggetto in una cesta…c’erano una pigna, una foglia, una noce ed altri oggetti relativi alla natura, quindi neutri. Ognuno veniva invitato a scegliere l’oggetto che più lo avesse colpito e a spiegarne il perchè. Chi vi attribuiva un ricordo d’infanzia, un sapore, un oggetto simbolico, chi vi vedeva una forma, un soggetto. Il tutto durava un paio di ore. Alla fine le varie interpretazioni confluivano nel fatto inopinabile che quell’oggetto restava pur sempre una pigna, una noce, una foglia, qualsiasi significato avessimo voluto dare noi. Erano state tutte interpretazioni soggettive le nostre…In fondo come avviene sempre quando valutiamo…Da allora lo porto sempre a mente.

Rebecca Montagnino

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