ALFABETIZZAZIONE EMOTIVA

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Quando sento parlare di alfabetizzazione emotiva, mi ricordo uno dei miei primi progetti di formazione. Fui chiamata in una scuola elementare per apprendere ai bambini l’uso della consapevolezza emotiva. Gli alunni venivano disposti nel circle time, ovvero seduti a circolo e partendo da argomenti semplici, si arrivava di settimana in settimana ad affrontare temi più personali, ad usare il problem solving e a capire meglio come risolvere i conflitti tra loro. Quelle insegnanti “illuminate” che richiesero il progetto, tanto più che da allora non ricordo che nessuno l’abbia chiesto se non dopo insistente argomentazione per la sua utilità, erano una rarità. Avevano capito in modo molto “galimbertiano” ( ricordo e rileggo a proposito spesso il suo Paesaggi dell’anima ) che insegnare a scuola l’empatia, la consapevolezza, alfabetizzare i bambini emotivamente dà loro un’abilità enorme. Sappiamo quanto questo sia essenziale in una comunità e per lo sviluppo personale dell’individuo, compito che la vita prima o poi gli richiederà. Con la differenza che come per tutti i tipi di apprendimento più tardi lo si inserisce, più è complicato e nel mentre, tante scelte di vita importanti vengono fatte senza il supporto e il contatto con le emozioni profonde. Allego il video, un’intervista di Luca Mazzuchelli ad U.Galimberti sulla sua visione della figura dell’insegnante.

L’analfabetismo emotivo è secondo Daniel Goleman ( autore di Intelligenza emotiva) e Umberto Galimberti ( autore di L’ospite inquietante), l’ incapacità di riconoscere le proprie emozioni; colui che ne soffre è vittima di un impoverimento emotivo che lo rende inabile nel provare empatia quanto ad attribuire le corrette emozioni agli altri

Quando ho trovato l’ articolo che riporto nel link sottostante, mi ha ricordato che ci sono materie meno scolastiche, ma più di “vita” che esulano e non vengono considerate ancora oggi nei programmi di apprendimento: l’alfabetizzazione emotiva ne è un esempio come lo è l’educazione civica, tolta da anni dal contesto scolastico, le cui conseguenze sono ben visibili ogni giorno in svariati esempi. Queste due materie oltre ad aiutare nella crescita e magari anche a prevenire problemi psicologici in futuro, ricordiamo che chi si conosce infatti si gestisce anche meglio, avrebbero un vantaggio per la comunità davvero sostanziale. Insegnano il rispetto e a dare attenzione all’altro, presupposti necessari per la base di una società umana e civile

https://libreriamo.it/istruzione/perche-oggi-e-necessario-recuperare-il-valore-dellempatia/

Quando ho letto quest’articolo sono tornata indietro negli anni in quelle aule, con i bambini delle elementari, all’idea di allora di creare nelle scuole elementari dei laboratori che insegnassero loro quelle materie che ancora oggi la scuola non ritiene necessarie far apprendere e che eppure, rappresentano il fondamento della relazionalità. Ci lamentiamo poi che crescono svogliatamente, perennemente annoiati, apatici, senza passioni e senza ambizioni, facendo scelte tanto per farle, perchè non si conoscono o per desideri degli altri, perchè insicuri o incapaci di sapere come fare a trovare la propria identità nel mondo. Ci lamentiamo che non conoscono il rispetto per l’altro, che sono individualisti, ma non si insegna loro a riconoscere cosa sentono e cosa sente l’Altro.

Rimango sempre colpita (e anche emotivamente toccata) quando a Londra nella metro o in altri luoghi pubblici, leggo il cartello che esorta ad aiutare ad uscire dai vagoni chi si sente male e chiamare un medico: mi immagino un bambino che prende la metro ogni giorno e cresce pensando che questo atto di aiuto e di solidarietà sia semplicemente un gesto “normale”.

Rebecca Montagnino

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