Demenza digitale

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Sono sempre molto attenta ad approfondire letture nel campo degli usi ed abusi soprattutto della tecnologia. E’ un campo dove tutti in qualche modo si ritrovano, spesso facendo dell’impiego un’abitudine e dell’abitudine una dipendenza. Passiamo sin troppo tempo su questi apparecchi, senza averne la giusta consapevolezza del significato e delle conseguenze che apportano nella nostra mente e nella nostra vita.

Come preannunciato in qualche post fa, dedico quello di questa settimana al libro dello psichiatra Manfred Spitzer Demenza digitale”. L’autore studioso di neuroscienze e professore ad Harvard, è noto anche per i precedenti “Solitudine digitale” e “Connessi e isolati. Un’epidemia silenziosa”. In quest’opera analizza i tanto acclamati effetti benefici dell’uso della tecnologia, sottolineandone invece gli aspetti nefasti. Ad esito di numerose ricerche che riporta nel libro, già nella premessa afferma: ” Se ci limitiamo a chattare, twittare, navigare, postare su Google, finiamo per parcheggiare il nostro cervello ormai incapace di riflettere e concentrarsi. L’uso sempre più intensivo del computer scoraggia lo studio e l’apprendimento e viceversa, incoraggia a restare per ore davanti i giochi elettronici.”

IMPOVERIMENTO DELLE FUNZIONI MENTALI

Circa 250.000 solo dallo studio di un campione tedesco di soggetti tra i 14 e i 24 anni, soffriva nel 2009 di dipendenza da Internet, altri 1,4 milioni erano considerati internauti problematici. Dalle tabelle riportate dal libro emergeva un pericoloso e progressivo aumento delle patologie conseguenti. Immagino con orrore cosa tali dati potrebbero dirci oggi a seguito della pandemia!

Thomas Edison già all’epoca aveva presagito un incombente cambiamento nell’apprendimento a discapito della vera conoscenza; ai nostri giorni chiunque cerchi un’informazione va “semplicemente” su Google.

Afferma l’autore, “pensare, memorizzare, riflettere non costituiscono più la norma. Per raggiungere una data competenza è necessario acquisire direttamente dalle fonti, porsi domande, critiche, valutare, esaminare direttamente i documenti, disporre i pezzi di un puzzle per formare un’immagine coerente. Tale competenza si basa anche sulla conoscenza dei fatti, ma si fonda soprattutto sulla conoscenza delle fonti e della loro affidabilità. Prima si scavava in un argomento, oggi si naviga in rete. Per imparare un contenuto, per memorizzarlo occorre invece elaborare le informazioni, farle scendere ad un livello di metabolizzazione che richiede approfondimento e tempo. Solo così si acquisisce conoscenza. Chi prende informazioni su Internet si ricorda dove le ha prese, difficilmente trattiene poi il contenuto, essendo tali informazioni disponibili anche in seguito.

Non è possibile comunicare molto in un tweet o in n commento su Internet. Questo porta ad una maggiore superficialità” Naom Chomsky

La discussione e il confronto vis a vis di un argomento permettono di imparare molto più di quanto facciano i confronti, non reali, seppur moltissimi e forse persino eccessivi, nei social network, che di sociale conservano davvero poco. Superficialità e l’agire d’impulso sono due caratteristiche che minano sia conoscenza che la socialità e guarda caso da sempre sono un aspetto integrato dell’apprendimento. Molti obietteranno allora e la DAD? La Dad, mi pare ovvio, credo e spero sia stato un fenomeno dovuto a circostanze esterne talmente gravi da non poter rimediare in altro modo all’educazione scolastica. Qui parliamo all’uso normale che viene fatto in ambito domestico, senza covid.

APPRENDIMENTO E WEB.

I suoi studi ed altre ricerche sul rendimento scolastico, hanno dimostrato che l’utilizzo del computer in età prescolare comporta disturbi dell’attenzione e un incremento dell’isolamento sociale. Oggi si pretende che i bambini imparino di più, più in fretta e il prima possibile .L’autore distrugge inoltre la tanto stimata lode al multitasking; chi fa tante cose insieme finisce per farle in modo approssimativo e poco attentivo. Con quali conseguenze?

Per apprendere occorre usare non solo la mente, ma anche la motricità come ci insegna in modo secolare la scuola dell’infanzia. Dove sono queste abilità nell’uso del web???

Si è visto inoltre che chi abusa della rete tende a mentire di più. Ci si nasconde meglio, si inventano profili, si accettano amicizie e si cancellano persone senza esporsi realmente. Mentire senza guardare negli occhi è molto più facile e alle lunghe diventa un tratto normale persino nella vita fuori dal web. La distinzione tra mondo reale e mondo virtuale diviene con il tempo sempre più appannata e senza esserne coscienti.

IL COMPUTER NON CI PUò SOSTITUIRE. Abbiamo visto come l’uso del computer danneggi certe funzioni che di conseguenza divengono più difficili da applicare, peggiora la capacità di conoscersi e di socializzare. Un esempio: come il navigatore ci sostituisce nella nostra abilità di orientamento mostrandoci facilmente quale percorso seguire e dandoci delle scelte, alla lunga sappiamo tutti che quest’abilità diviene faticosa e quasi impossibile senza. Il risultato è che muoverci senza navigatore ci fa sentire persi, come se avessimo perso la capacità di orientarci interiormente o di chiedere semplicemente a qualcuno la direzione.

Allo stesso modo ci saranno altre capacità indebolite e o scomparse dal nostro repertorio perchè sostituite dalla tecnologia, che se da un lato aiuta, dall’altro sottrae. L’uso della parola “demenza” (dal latino de-via da- e mens -mente-) nel titolo infatti sta a rimarcare che l’uso prolungato della tecnologia può incidere sulle nostre capacità di pensiero, di memoria, di riflessione, come quelle relazionali, di orientamento, che vengono perse esattamente come avviene nella patologia vera e propria. Assistiamo cioè comunque ad un declino.

Un altro aspetto compromesso è come vedevamo prima, quello delle abilità sociali; chi si abitua ad incontrare e conoscere gente in rete, fatica a farlo dal vivo. Il pensiero sociale come l’empatia, si abbassa di livello e diminuiscono le dimensioni delle zone cerebrali preposte alle competenze sociali.

Non solo, specie per le relazioni sentimentali, si dimentica che l’innamoramento è un processo che avviene per caso, dove a guidarci sono anche i nostri ferormoni, assenti nel mondo web. Le reazioni di autocontrollo vengono a loro volta sballate, in quanto i parametri sono totalmente scombinati. Quello a cui si assiste è quindi una maggiore impulsività a scegliere sul web in base a circostanze non naturali, a presentarsi in mood artefatto e a rispondere in modo emotivamente disturbato.

Le ricerche sul piano sociale hanno persino dimostrato che chi ha più relazioni reali dorme meglio e di più di chi le vive nella rete. A dimostrare che il supporto umano, il calore e la produzione di ossitocine non naviga in rete!

LA VIOLENZA E IL WEB. Un altro aspetto molto importante che emerge dalle sue ricerche riguarda la violenza ed il fatto che chi sperimenta scene di violenza sulla rete, tende a desensibilizzarsi a quella reale. Già abbiamo visto prima che le sensazioni di empatia e di compassione diminuiscono, diminuisce allo stesso modo la capacità di prestare aiuto a chi è in difficoltà a seguito della visione ripetuta di contenuti aggressivi. La desensibilizzazione egli afferma ” è una forma di apprendimento inconscio dimostrata persino negli animali e che nell’uomo coinvolge pensieri, emozioni e comportamenti. Già quarant’anni fa era stato dimostrato che i film violenti spingono le persone ad avere reazioni sempre meno intense e la finzione si trasferisce alla realtà.” A tal proposito ricordiamo doverosamente il famoso saggio (altro volume che andrebbe letto) di Karl PopperCattiva maestra televisione”, pubblicato nel 1994, in cui l’autore metteva in guardia dagli effetti negativi della televisione sui bambini, soprattutto per la presenza crescente di contenuti a sfondo violento. E Popper non sapeva dei successivi “Grandi fratelli” e del mondo 2.0…

Tornando a Spitzer, il suo studio si estende ovviamente anche all’uso di pc e console; il suo è un allarme a prestare attenzione a come i bambini si intrattengono nel loro tempo libero, perchè la quantità del tempo e la qualità è determinante per il loro sviluppo futuro. Afferma: Ogni attività mentale lascia tracce nel cervello e queste tracce ne influenzano il funzionamento successivo. Cosa fanno davvero alla loro mente i bambini quindi quando giocano con la tecnologia?

LA DIPENDENZA.

Il nativo on line infatti, se da un lato si può definire precoce per l’apprendimento dell’uso della tecnologia, è perennemente on line per diverse ore al giorno: tra messaggi, giochi, chat, video, serie passa la gran parte del tempo usando questi apparecchi. Persino la sveglia è sul telefono e ci si addormenta talvolta ascoltando la musica sull’IPod. Come si può di conseguenza non esserne dipendenti? Il fatto poi che la rete rappresenti la Maestra di tutto e su tutto, fa si che le informazioni raccolte non solo siano superficiali, ma manchi la facoltà e la volontà di giudicare le fonti di informazione raccolte. Egli infatti definisce la generazione dei nativi digitali “generazione copia incolla” – Per imparare, egli afferma, occorre accendere un fuoco, non riempire dei contenitori.

L’atteggiamento passivo pregiudica parecchio la capacità di autocontrollo; chi è distratto ad esempio ascoltando musica, scrivendo, rispondendo messaggi, viene continuamente interrotto e disturbata la sua attenzione. Questo spiegherebbe anche perchè aumentano i casi di deficit di attenzione. La dipendenza dal web incide anche sui disturbi del sonno e sulla qualità del sonno: non è raro che stare fino a tardi a navigare o chattare, come anche a guardare serie, alteri il funzionamento del ciclo sonno/veglia. Bambini e adulti si svegliano con poche ore di sonno che creano a loro volta problemi d’umore, disturbi d’ansia e fisici che portano poi a cercare di “rilassarsi” di nuovo nella rete, creando un circolo vizioso piuttosto inquietante.

LE SUE CONCLUSIONI. Alla fine del libro l’autore evidenziato come sia poco l’allarmismo su tale fronte, spinge gli educatori, nonchè le istituzioni, ad avere maggiore preoccupazione sul fenomeno. Per arginare la situazione dà alcuni suggerimenti:

-dedicare trenta minuti al giorno all’attività sportiva (almeno aggiungerei)

-pensare meno e dedicarsi di più alla meditazione (evita il rimurginio!!!!)

-puntare a obiettivi realizzabili , il contrario porta a delusioni e fallimenti

-aiutare gli altri

-pensare meno al denaro che alimenta avidità e solitudine e spenderlo per attività e non oggetti

-ascoltare musica in modo consapevole

-cantare

-sorridere anche quando non se ne ha voglia, le emozioni assorbe le informazioni anche dal nostro corpo

-essere attivi e contemplare

-semplificare la vita (e i pensieri aggiungerei io)

– coltivare le relazioni

-stare nella natura

-limitare i media digitali

Chiaramente quello che ho fornito in questo post è davvero solo un piccolo sunto, un condensato che non dà il giusto merito all’opera. Spero pertanto di avervi stimolato alla lettura del libro completo che è fonte di molte ricerche, fondamentali per avere un quadro della situazione e uno spunto di grandi riflessioni. Tutti noi oggi siamo più o meno dipendenti dalla tecnologia e penso che qualsiasi genitore potrebbe trarre da tale lettura, un aiuto prezioso per aiutare il figlio ad usare questo mondo in modo più consapevole e meno dannoso. Considerato che i rischi sono elevati e l’estensione dei danni piuttosto imponente.

Rebecca Montagnino

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